Alexander Von Humboldt. Un genio multiforme inventore della natura 

Saggio del professor Enrico Concaro di Tortona

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Il 14 settembre era il 250° anniversario della nascita di Alexander Von Humboldt (Berlino, 14 settembre 1769 –  Berlino, 6 maggio 1859), ma temo che questa ricorrenza sarà quasi del tutto ignorata dai mass-media.

Purtroppo il personaggio è conosciuto quasi esclusivamente negli ambienti accademici, le sue idee invece plasmano ancora il nostro pensiero, eccome.

All’epoca il fascino e gli stimoli culturali che aveva creato fecero sì che i suoi contemporanei lo considerassero  come  “l’uomo più famoso al mondo dopo Napoleone”.

Era  in possesso delle competenze di geografo, misuratore-calcolatore, catalogatore, cartografo, botanico, zoologo, studioso di mineralogia, geologo, matematico, fisico, astronomo e naturalista. Fu un grande viaggiatore, alpinista, esploratore, linguista, storico, sociologo, diplomatico, umanista e scrittore. Un vero figlio del secolo dei Lumi.

Non sarà certo un caso che portano il suo nome quasi 300 piante, oltre 100 animali, decine di minerali, la corrente oceanica che costeggia Cile e Perù.

In America Latina c’è la Sierra Humboldt in Messico e Pico Humboldt in Venezuela, una città in Argentina, un fiume in Brasile, un geyser in Ecuador e una baia in Colombia.  Negli Stati Uniti: quattro contee, tredici città, montagne e laghi, un fiume. Lo stato del Nevada fu sul punto di chiamarsi Humboldt  quando negli anni 1860 si dibatté intorno al nome da dare al nuovo stato. In Europa: Capo Humboldt  e ghiacciaio Humboldt in Groenlandia. Ma anche catene montuose nella Cina settentrionale, in Sudafrica, Nuova Zelanda, Antartide, nonché fiumi e cascate in Tasmania e Nuova Zelanda.  Anche sulla Luna gli hanno dedicato un sito: il  Mare Humboldtianum. Sono più i nomi di luoghi intestati a Humboldt che a nessun altro.

 

Ma chi  era Humboldt?

Nato in una ricca famiglia nobiliare, H. ebbe un’educazione scientifica. Da ragazzo, appena poteva, gironzolava per a campagna raccogliendo e disegnando piante, animali e rocce. Quando tornava le sue tasche erano piene di insetti e foglie tanto che in famiglia lo chiamavano “il piccolo farmacista”. La sua curiosità compulsiva lo portò a diventare ispettore di miniere a soli ventidue anni (all’Accademia mineraria di Freiberg impiegò soltanto otto mesi per acquisire un titolo di studio e una necessaria esperienza professionale che gli altri possedevano dopo tre anni).
Il lavoro in miniera però non lo appagava, perché il suo più gran desiderio era quello di esplorare il mondo per conoscere dal vero piante, animali, rocce, climi invece di  limitarsi a leggerli sui libri.
Negli anni della rivoluzione francese cercò di partire per un viaggio intorno al mondo, ma purtroppo per una serie di motivi non vi riuscì. Per partire verso l’America del Sud dovette aspettare la morte della mamma, avvenuta nel 1798, momento in cui ereditò gran parte del patrimonio familiare, cioè una vera fortuna. E così, finalmente all’età di ventinove anni poté partire per quello che aveva sognato fin da ragazzo: visitare i Tropici studiando e raccogliendo tutto ciò che vi si poteva trovare.

Dopo una tappa scientifica alle Canarie il viaggio proseguì in quelli che ora sono gli stati del Venezuela,  Colombia, Ecuador. Lungo il tragitto si avventurò, a piedi o su canoa, per migliaia di chilometri in regioni impervie dove pochissimi europei si erano inoltrati, misurando tutto: altitudine, umidità, temperatura e anche “l’azzurrità del cielo”.
Insieme al suo amico francese Aimé Bonpland, compagno di viaggio e di studio, elencò sui taccuini tutte le specie animali e vegetali che incontrò e raccolse campioni di “acqua e aria”, insieme a migliaia di altri reperti. Fu il primo uomo a scalare anche il Chimborazo, un vulcano inattivo collocato tra le Ande, alto quasi 6.500 metri. All’epoca il Chimborazo era considerato la montagna più grande del mondo e a tutti incuteva timore, ma Humboldt, accecato dalla sua gran passione, riuscì nella sua impresa. Dovette superare molti ostacoli, tra cui l’aria rarefatta dell’altezza, la stanchezza e i piedi che sanguinavano.
Dall’America del Sud passò poi in quella settentrionale (Messico, Cuba e Stati Uniti – dove divenne amico del Presidente Thomas Jefferson).

In totale il viaggio durò più di 5 anni – esattamente 1.885 giorni. Con Bonpland e il portatore factotum Carlos Montúfar, percorse quasi 9.650 chilometri. All’arrivo, il 3 agosto 1.804,  Humboldt riportava in Europa circa 60.000 esemplari di piante per un totale di 6.000 specie di cui 2.000 sconosciute ai botanici occidentali (un vero record, se si considera che all’epoca quelle conosciute erano soltanto 6.000!).

Le sue cospicue ricchezze personali  erano state “dilapidate” per nelle sostenere le altrettanto  consistenti spese.

Tuttavia da quel momento, accompagnato da una curiosità senza confini, dedicò l’intera vita ai viaggi, alla ricerca e alla divulgazione scientifica.

Quello che chiamò ”Il viaggio nelle terre equinoziali” lo cambiò per sempre. Le sue le intuizioni lo trasformarono velocemente in un punto di riferimento per tutta la comunità scientifica.

 

E trent’anni dopo affrontava un nuovo viaggio in terre a lui sconosciute: adesso percorreva la Russia degli Zar, a Nord dalla Siberia fino ai piedi dei monti Altai e verso sud fino al Mar Caspio raccogliendo materiali  e nuove acquisizioni per suo il suo sterminato campo d’indagine.

In sostanza Humboldt non fu uno studioso cerebrale. Gli studi e i libri non lo accontentavano, aveva bisogno di buttarsi nello sforzo fisico, spingendosi spesso ai limiti il proprio organismo.

Inventò le isoterme – le linee della temperatura e della pressione che si vedono sulle odierne mappe climatiche – e scoprì l’equatore magnetico. Fu lui a definire le zone climatiche e di vegetazione che si snodano attraverso il globo. Giunse a formulare teorie anche sui mutamenti climatici.

Ma soprattutto, ed è la cosa più importante, rivoluzionò il nostro modo di concepire il mondo naturale, trovando connessioni ovunque. Cioè le sue idee, allontanandosi dalla visione per cui l’uomo è al centro di tutto, che aveva predominato per millenni il sapere, portavano alla conclusione che tutto è integrato e la natura “è una forza globale”. È  una sorta di “rete”, che “parla all’uomo con una voce familiare al suo animo”. La vita si riversa in egual misura su pietre, piante, animali ed esseri umani. Nessuno, nemmeno il più piccolo degli organismi viventi, può essere considerato a sé stante, né tanto meno l’uomo, che è continuamente immerso in una totalità dalla quale è impossibile separarsi. Aveva, in altre parole,  inventato la rete della vita, il concetto di natura che noi oggi conosciamo.
Oltre che scienziato fu un grande umanista: denunciò le barbarie del colonialismo, la pratica predatoria delle deforestazioni, la corsa alla distruzione delle bio-diversità avviata con le monocolture nelle colonie sudamericane. Dopo la visita negli USA divenne un convinto e attivo sostenitore della battaglia contro la schiavitù. Al’età di 79 anni, nel 1848, nonostante la sua posizione di consigliere del Re e sebbene non fosse stato d’accordo con gli insorti, marciò a Berlino alla testa del corteo funebre per i morti nei moti rivoluzionari.

Le sue letture all’Università di Berlino, aperte al pubblico e completamente gratuite, aprirono la strada a una nuova visione della scienza, più democratica e inclusiva. Il suo pensiero antischematico influenzò molti studiosi del suo tempo, tra cui Goethe e Thomas Jefferson, suoi amici personali, ma anche successivamente Henry David Thoreau e i  padri del naturalismo statunitense.  Simon Bolivar a Parigi lo frequentò assiduamente per mesi e mesi prima di ritornare in America Latina. Charles Darwin, che deve a lui gli stimoli per affrontare la sua avventura  scientifica oltreoceano, lo considerava l’uomo di scienze più grande di tutti i tempi.

Nel 1869 il centenario della sua nascita fu celebrato in tutto il mondo: in Europa, Africa, Australia e nelle Americhe con la partecipazione, nelle diverse località,  di decine di migliaia di persone. A Berlino, sua città natale , sotto una pioggia torrenziale, si riunirono 80.000 persone, ma nonostante il tempo inclemente discorsi e canti andarono avanti per ore e ore.

 

Oggi,  personalmente, il  compito che mi son dato per un modesto tributo all’uomo è stato quello di cercare di incuriosire amici e conoscenti sulla sua opera. Se ci sono riuscito provate a cercarlo su Wikipedia:  c’è anche lui. A chi volesse ulteriormente approfondire, consiglio la lettura di un libro biografico che, pur essendo un saggio documentassimo, si legge come un avvincente romanzo: Andrea Wulf “L’invenzione”della natura” – LUISS University Press, Roma 2017

 

Enrico Concaro, 14 settembre 2019