Biodistretto, anzi…bio caos

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Un anno fa, settimana più, settimana meno, nell’elegante sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona, è stato presentato ufficialmente il biodistretto Terre del Giarolo. Alcuni mesi prima, nell’autunno del 2015, l’ex commissario liquidatore della Comunità montana, Cesare Rossini decise di affidare a Città del Bio, per la realizzazione del progetto, i circa 525 mila euro destinati in un primo tempo alla produzione di energie rinnovabili. I soldi fanno parte di un finanziamento della Regione, stanziati nell’ambito del Piano territoriale integrato “Le energie, le acque e la natura”.

L’idea di per sé, sarebbe stata buona; nell’incontro tortonese, il presidente e il direttore di Città del Bio, rispettivamente Antonio Ferrentino e Luigi Massa, avevano parlato di “cabina di pilotaggio” composta da rappresentanti del mondo agricolo, delle istituzioni locali e delle associazioni, lasciando così ben intendere che il territorio sarebbe stato coinvolto nelle scelte necessarie per la creazione del biodistretto. Così non è andata. Città del Bio, ha operato le proprie scelte di concerto con pochissimi amministratori locali. A dicembre il rush finale, con uno scontro al calor bianco, tra le due parti; dal canto suo Città del Bio, ha dato l’ out out ai sindaci, imponendo la scelta tra dentro o fuori, ma l’ultimatum non ha sortito alcun effetto sulla maggioranza dei sindaci, che in precedenza avevano inviato una lettera in Regione nella quale si legge: “Manifestiamo disappunto, e preoccupazione per l’azione di disgregazione e liquidazione dei beni, mobili ed immobili, dell’ ex Comunità MontanaTra le azioni più discutibili e sfuggenti intraprese dal Commissario liquidatore, si segnala la devoluzione a Città del Bio della considerevole somma di  525.764,76” e continua “Oltre alla delusione per non essere stati interpellati su una scelta così importante e che impegna una somma di denaro raramente disponibile in questi momenti difficili, si aggiunge il fatto che, ad oggi, non si intuisce chiaramente l’effettivo utilizzo dei fondi e soprattutto non si intravede una concreta ricaduta sul territorio”.  Detto tra noi, come Città del Bio intendesse spendere i soldi era piuttosto chiaro: analisi, consulenze e ovviamente i soliti studi. Tutto già visto.

La lettera firmata da venti sindaci e da tutti i presidenti dei Consorzi, non ha ancora ottenuto riscontri, ma, come dice Roberto Grattone, presidente del Consorzio del Montebore: “Sappiamo che pochi giorni fa è stato nominato un nuovo commissario liquidatore, questa volta si tratta di un funzionario regionale, quindi poiché credo ancora nelle istituzioni, confido, come del resto tutti coloro che hanno firmato quella lettera, di avere risposte”.

Prima della fine del mandato, Rossini ha presentato in Regione un piano di riparto di debiti e crediti che dovrebbero essere spalmati sulle Unioni, e dopo la ribellione dei sindaci, i 525 mila euro sono stati affidati, non più a Città del Bio, ma all’Unione Val Curone, che dovrebbe gestirli in accordo con le altre Unioni ma, voci ufficiose dicono che la Regione ha bocciato il piano, quindi tutto da rifare.  Città del Bio non ci sta e continua il suo tentativo d’insediamento sul territorio, blandendo i sindaci come unici “piloti”, escludendo i produttori. “Dov’è la novità? Per quanto mi riguarda – dice Grattone – non posso essere escluso, visto che non sono mai stato incluso. Nessuno di Città del Bio ha mai chiesto il mio parere e a quanto mi risulta neppure quello di altri miei colleghi dei vari consorzi. Quel poco che hanno fatto, lo hanno deciso unilateralmente, e personalmente non condivido le loro scelte”.

E non è tutto. Città del Bio, per bocca di Luigi Massa, ha annunciato in un recente incontro che si è tenuto a Garbagna, di voler creare un punto vendita di prodotti locali, una o più vetrine, sempre di prodotti locali, e in cotanta creatività non poteva mancare, la “Porta del biodistretto”. Quest’ultima chicca sarebbe prevista a Brignano Frascata, e unirebbe un’area museale e un’area ristorazione; le aree mercatali sorgerebbero a Castellania e a Stazzano, mentre la vetrina, corredata di distributore automatico di prodotti, dovrebbe essere installata a Grondona. “ Inutile realizzare nuove strutture”, è l’opinione della maggioranza degli amministratori e dei produttori. A Vignole di fatto esiste già un punto vendita di prodotti locali, presso le Cantine Poggio, che oltre alla vendita al minuto dei loro vini, hanno una vetrina fornita di prodotti locali: Montebore, fagiolane salumi, farine eccetera… Spiega Mary Poggio: “ A parte la difficoltà di reperire i prodotti nel corso di tutto l’anno, non dimentichiamo che alcuni di questi sono stagionali, altri in quantità limitate, il problema è trovare chi si occupa costantemente della vendita, soprattutto sabato e domenica . Ci sono luoghi dove si fa fatica a tenere aperto un bar due giorni la settimana. La gente che lavora deve essere pagata, questo è chiaro, non ci si può affidare al solo volontariato, perché non può funzionare”.  Inoltre va detto che nella maggior parte dei casi i produttori hanno un loro spaccio vendita, come ad esempio il caseificio Vallenostra, che produce il Montebore, o il salumificio “Da Pina”. Ci sono poi i mercati itineranti a chilometro zero, allestiti ogni anno da fine maggio a ottobre, spesso accompagnati da momenti della tradizione, con le musiche delle quattro province.