Caprioli e cinghiali tra abbattimenti e “affari” per i cacciatori.

Per i “bambi” un piani di prelievo da mille capi, nulla o quasi per i cinghiali, “protetti” dagli amanti della doppietta.

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Per i caprioli i piani di abbattimento esistono ormai da tempo ma nulla del genere, o quasi, è previsto per i cinghiali, specie altrettanto dannosa per l’agricoltura e la viabilità. La Provincia ha da poco presentato un piano straordinario di abbattimento per ben mille caprioli, piano che si aggiunge alle previsioni di controllo della specie messe in atto da ogni Ambito territoriale di caccia (Atc) della provincia.

L’Atc Al 3, che comprende le valli Curone, Grue e Borbera, per il 2017-2018 ha in programma l’abbattimento di 546 capi (182 maschi adulti, 182 femmine adulte e 182 giovani dell’anno), di cui 27 nel distretto di Arquata, 108 nello Scrivia Grue, 81 a Montermarzino, altrettanti nel distretto Sinistra Curone, 120 nel Destra Curone, 45 in Alta Val Borbera, 42 nel distretto Val Borbera, 27 sui Colli Tortonesi e 15 nel distretto Pianura. L’Atc Al 4 Ovadese Acquese, che interessa anche la Val Lemme, ha in programma 985 abbattimenti, di cui 165 nel distretto di Acqui Terme, 30 a Bosio, 20 a Cassinelle, 120 a Cavatore, 140 a Gavi, 150 a Ovada, 105 a Rocca Grimalda, 90 a Spigno, 120 a Trisobbio, 45 a Voltaggio. Oltre a questi e ai piani degli altri Atc provinciali, come si diceva, si prevede un abbattimento straordinario di altri mille capi, come ha annunciato il presidente della Provincia, Gianfranco Baldi, martedì scorso a Gavi, nella sede del Consorzio tutela del Gavi, nella riunione convocata per affrontare il problema dei nei vigneti, causati anche dai cinghiali.

Quest’anno, infatti, la fauna selvatica ha letteralmente martoriato le viti ma solo l’Atc Al 3 ha un piano di prelievo del cinghiale, che per quest’anno cita 150 capi tra collina e pianura. Altrove, gli abbattimenti avvengono da parte delle squadre di cacciatori mandate dagli Atc in base alle segnalazioni degli agricoltori, quando il danno è già avvenuto. Oltretutto, in questi interventi i capi abbattuti, come sottolineano diversi coltivatori, sono sempre pochi. Un sistema che non ha mai risolto il problema dei cinghiali, che viene invece alimentato, è il caso di dire, dai cacciatori stessi. Tutti sanno che questi ungulati, specie in inverno, vengono foraggiati nei boschi proprio per evitare che muoiano durante la stagione più difficile, quando il cibo scarseggia. Un comportamento che non è stato neppure citato nella riunione di Gavi, dove sotto accusa è finito invece l’ente di gestione della aree protette dell’Appennino Piemontese, l’ex Parco Capanne di Marcarolo, Curiosamente l’unico ente, insieme al Parco del Po e dell’Orba, che in provincia attua dei piani di abbattimento dei cinghiali, che nell’area protetta non sono più un’emergenza, poiché gli abbattimenti sono mirati, per esempio, sugli esemplari più giovani, che sono i più dannosi. Gli interessi economici intorno alla caccia al cinghiale, specie introdotta, come i caprioli, a scopo venatorio, sono evidentemente molto forti e c’è chi preferisce, in barba ai danni patiti dagli agricoltori, dagli automobilisti e ai costi per le casse pubbliche, mantenere elevato il numero di esemplari sul territorio.

Infatti, a chi ha proposto di eliminare tutti i capi per risolvere alla radice il problema, i cacciatori hanno risposto picche. Lo racconta Gianni Repetto, ex presidente del Parco Capanne: “Durante il mio primo mandato, tra il 2001 e il 2006, la proposta del Parco fu quella di eliminare del tutto questa specie non solo dall’area protetta ma anche dalle aree con coltivazioni di pregio, come la vite. Non solo: quando ero in amministrazione a Lerma riuscimmo a ottenere la sistemazione di diverse gabbie sul nostro territorio per la cattura e l’abbattimento dei capi. I cacciatori si opposero: l’eradicazione totale di questa specie, diffusa solo per scopi venatori, non venne accettata e le gabbie vennero tolte”.