Il cinghiale, dice Roberto Piana, esponente dell’associazione animalista, un tempo assente in Piemonte e nemmeno annoverato tra le specie cacciabili, fu oggetto tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso di massicce immissioni a scopo venatorio con esemplari d’importazione e di ibridi incrociati con il maiale domestico al fine di incrementarne la riproduzione allo stato selvatico. Intorno alla specie cinghiale si è sviluppato in questi anni un fiorente mercato in gran parte clandestino della carne di cinghiale a tutto vantaggio dei cacciatori i quali ancora oggi portano a casa “a gratis” ingenti numeri di animali di proprietà dello stato e accresciutisi a spese dei coltivi degli agricoltori. Già alla fine degli anni Ottanta erano ricorrenti riunioni straordinarie presso le Prefetture e le Province per individuare strategie efficaci per ridurre i danni causati da questa specie alle colture agricole. In questi decenni le strategie di intervento per contenere il numero dei cinghiali presenti sul territorio sono state quasi totalmente affidate ai cacciatori nell’illusione che i responsabili della massiccia presenza di questo suide ponessero rimedio ai disastri realizzati. Il cacciatore è l’unico soggetto interessato ad avere una diffusa presenza di cinghiali.

cacciatori

Devastante è l’uso dei cani per la caccia al cinghiale in braccata, girata, battuta e quant’altro finalizzata a stanare i selvatici dalle aree boscate dove non creano danni e disperdendoli sul territorio circostante occupato dalle coltivazioni. Senza parlare dell’occupazione “militare” del territorio con decine di persone armate con fucili ad altissima potenza, il sistematico danneggiamento delle arterie agricole causato dal passaggio di decine di fuoristrada, il pericolo per le persone, l’aumento degli incidenti stradali causati dagli animali in fuga. La destrutturazione delle popolazioni di cinghiale con l’uccisione dei capi adulti maggiormente ambiti dai cacciatori determina l’anticipazione dell’estro delle femmine, la realizzazione di nuovi branchi e il rapidissimo ripristino del numero degli animali. La caccia invece di ridurre la presenza del numero degli animali ne causa l’aumento e la dispersione. Nessuna struttura a tutela delle coltivazioni è in grado di resistere all’assalto del branco di cinghiali in fuga. In questi decenni le politiche di contenimento della specie affidate ai cacciatori sono tutte miseramente fallite. Ogni anno il numero di animali abbattuti aumenta. Questo dovrebbe insegnare qualcosa. Al solo capo annuale consentito al cacciatore un tempo si è arrivati oggi ai cinque capi giornalieri e il problema invece di ridursi è aumentato.

Campi devastati dai cinghiali

Ancora oggi la Regione Piemonte propone strategie fallimentari per la gestione del problema a tutto vantaggio dei cacciatori e a danno degli agricoltori. La proposta di filiera della carne di cinghiale di cui è paladino il vicepresidente cacciatore della Regione Fabio Carosso va in questa direzione e va assolutamente contrastata. La realizzazione di una filiera della carne di cinghiale determinerà l’incremento della specie sul territorio motivata dagli interessi economici che verranno a determinarsi. Forse oggi nel mondo degli agricoltori qualcosa sta cambiando. Il concetto che la caccia arrechi utili e profitti agli agricoltori sta perdendo credito. La caccia per l’agricoltura è causa di danni e non certamente di utili. Nel mese di giugno dello scorso anno il Tavolo Animali & Ambiente ha realizzato un convegno a carattere nazionale evidenziando tutte queste problematiche. Il mondo politico ancora impregnato da superate filosofie venatorie finge di non capire. La caccia si svolge gratuitamente sui terreni degli agricoltori e a spese di questi. E’ ora di dire basta.