E’ sempre più difficile fare l’agricoltore e l’allevatore in Val Borbera a causa delle fauna selvatica. La testimonianza arriva da Giuliano Cordone, 42 anni, che nella sua azienda di Rovello, a Mongiardino Ligure, ha circa 60 capi di bestiame con i quali produce il latte crudo che si può trovare nei distributori automatici del territorio. “Ricordo quando avevo quindici anni – racconta – e a giugno la valle era tutta dorata con i campi di grano pronto per essere trebbiato. Ora non si vede quasi più nulla del genere”. La colpa è sia della diminuzione del numero degli agricoltori sia, soprattutto, dei cinghiali. “La mia azienda – spiega – è costituita da circa 40 ettari con i quali dovrei produrre cereali e foraggio per il bestiame. I campi sono sparpagliati in quasi cento particelle e da qualche anno è praticamente impossibile coltivare. I cinghiali arano letteralmente le superfici e dovrei recintare con il filo elettrificato ogni singolo campo, cosa impossibile da fare. Ho tenuto solo un campo per il grano, che devo controllare ogni giorno per vedere se la batteria per l’elettricità funziona”.

I campi devastati dai cinghiali a Rovello

Cordone alcuni anni fa ha affittato una cascina a Stazzano, verso la Valle Scrivia, e ha trasferito lì le coltivazioni. “Il cibo per i miei sessanta capi ora la produco là – racconta – dove ci sono meno cinghiali. Se avessi dovuto infatti acquistare il fieno mi sarei dovuto rovinare. I danni causati dalla fauna selvatica non riguardano solo il mancato raccolto ma anche la spesa per sistemare i campi, dove vengono scavati buchi da quasi mezzo metro”. Cordone parla di 10-12 mila euro all’anno di danni. “Mi sta benissimo tutelare gli habitat naturali – conclude l’allevatore – poiché gli animali ci devono essere come ci siamo noi ma si deve trovare un modo per evitare che il territorio venga abbandonato del tutto”. A questo si aggiunge il ritardo notevole con cui vengono erogati i risarcimenti dei danni da parte degli ambiti territoriali di caccia (Atc). Secondo la denuncia della Coldiretti, in alcuni casi arriva fino a tre anni. La colpa? Per gli Atc Al 3 e Al 4 è della Regione, la quale accusa invece gli stessi ambiti.