Il 26 ottobre, a poche ore dal blitz che vide finire in manette i suoi manager più importanti e i titolari delle imprese a cui aveva affidato i sub appalti, il Cociv si affrettò a definirsi, scatenando non poche ironie, “parte lesa” rispetto alle accuse mosse nei confronti degli arrestati e di quanto stava emergendo nella realizzazione del Terzo valico, cioè reati quali corruzione, turbativa d’asta e quant’altro. Era chiaro che l’indagine delle Procure di Roma e Genova non si sarebbe certo fermata lì e infatti sta andando avanti a tutto spiano, confermando quanto avevano sostenuto non molti anni fa i comitati No Terzo valico: “L’opera è criminogena per il modo in cui è stata concepita e per come viene realizzata”.

Il cantiere del Terzo valico di Voltaggio
Il cantiere del Terzo valico di Voltaggio

Le due ordinanze di custodia cautelare dello scorso autunno sono state quindi solo un antipasto, poiché, oltre alle ulteriori indagini in corso sulle modalità di smaltimento dello smarino contenente amianto, ora emerge che il consorzio formato al 64% da Impregilo, al 31% da Società condotte d’acqua e dal 5% da Civ è anch’esso indagato dalla procura ligure insieme ai suoi ex dirigenti Pietro Paolo Marcheselli, Ettore Pagani e Michele Longo, solo per citare quelli più noti, sostituiti dopo poco tempo dal presidente Vittorio Maria Ferrari e dal direttore generale Nicola Meistro.

Come riporta il Secolo XIX, i magistrati hanno iscritto nel registro degli indagati il Cociv stesso “in base a una specifica legge sulla responsabilità amministrativa”. In sostanza, il comportamento che viene addebitato a Marcheselli, Pagari e Longo, l’avere cioè, a vario titolo, preso mazzette e condizionato l’assegnazione degli appalti, non sarebbe una questione solo personale ma da attribuire anche all’azienda, definita “una società corrotta”, che avrebbe beneficiato del comportamento proprio di quei dirigenti.

Pietro Marcheselli, ex direttore del Cociv (a destra)
Pietro Marcheselli, ex direttore del Cociv (a destra)

È il caso di ricordare che sin dal 1994, quando iniziarono i primi lavori del Terzo valico a Voltaggio, Castagnola e Mignanego, l’opera finì sotto la lente di ingrandimento della magistratura. In quel caso, finirono nei guai non solo il senatore di Forza Italia Luigi Grillo l’ormai noto alle cronache giudiziarie Ercole Incalza, oltre a Marcellino Gavio e Bruno Binasco della ditta Itinera e altri, ma anche il rappresentante del Cociv Mario Nicolini. L’accusa era truffa aggravata ai danni dello Stato per essersi appropriati, per l’accusa in maniera indebita, di 100 miliardi di lire nell’esecuzione delle gallerie, rivelatesi non regolari e con costi gonfiati del 100%. Il processo, partito quasi dieci anni dopo, venne troncato a causa della prescrizione.

L’ex presidente del Cociv Michele Longo (a destra) con Sergio Chiamparino (presidente della Regione), il prefetto Romilda Tafuri e il commissario del Terzo valico Iolanda Romano.

Poi, nel 2013, Marcheselli, all’epoca direttore del Cociv, era stato condannato a 4 anni e mezzo in Appello a Firenze per traffico illecito di rifiuti nell’ambito dei lavori dell’Alta Velocità in Toscana, pena che gli è costata la rimozione dall’incarico nel Cociv, anche se dalle indagini di Roma e Genova è emerso un suo successivo ruolo dirigenziale nel consorzio nonostante la presunta “cacciata”. Eppure nessun politico favorevole all’opera ha mai sentito il bisogno di prendere le distanze dal consorzio. Anzi: nonostante gli arresti del suo management e prima del commissariamento, il Cociv sta continuando a scavare, amianto permettendo, a Castagnola, Radimero, Moriassi e ad allestire i cantiere di Libarna in vista dello scavo della galleria Serravalle, senza contare la Liguria. C’è da fidarsi?