Palazzo Ghilini, sede della Provincia e della Prefettura

La Prefettura di Alessandria condannata a risarcire le spese legali a un cittadino di Gavi, Emilio Carbone, per avergli tolto illegittimamente il porto d’armi. Nel febbraio del 2015 l’imprenditore del settore delle assicurazioni aveva subito un furto nella sua abitazione di via Bosio. I malviventi ci avevano già provato tre volte in un anno ma in precedenza si erano limitati a rimanere in giardino portando via poche cose. Quella volta entrarono in casa e, oltre ad alcuni preziosi, portarono via due pistole e varie munizioni dopo aver divelto le inferriate di una finestra e segato in due la porta della cassaforte dove si trovavano le armi.

La finestra della casa di Emilio Carbone divelta dai ladri tre anni fa.

Presentata denuncia, nell’ottobre successivo Carbone si vedeva ritirare il porto d’armi dalla Prefettura, che ravvisava “la mancanza di garanzie necessarie per il mantenimento dei requisiti di completa affidabilità per il possesso delle armi”. La motivazione era basata sul fatto che Carbone aveva motivato la detenzione delle armi con i presunti rischi per l’incolumità personale, derivanti dal fatto di abitare in una villa fuori dal centro abitato, più volte presa di mira dai ladri.

La cassaforte aperta dai ladri in casa di Carbone nel 2015

Parole che per la Prefettura denotavano appunto “una mancanza di affidabilità nell’uso delle pistole”, per altro non detenute secondo le regole, sempre a detta dei funzionari. Inevitabile, da parte di Carbone, ricorrere al Tar per riavere il porto d’armi. Dopo tre anni, i giudici amministrativi gli hanno dato ragione: la motivazione della Prefettura è “illogica e contraddittoria”: Carbone aveva solo ipotizzato l’uso delle armi per difendersi. Inoltre, le pistole erano custodite regolarmente dentro la cassaforte, e le munizioni rubate erano di una terza arma da fuoco, detenuta altrove. I giudici hanno messo nero su biano che “non può ragionevolmente tacciarsi di inaffidabilità chi soltanto ipotizzi di utilizzare un’arma legittimamente detenuta, per difendere se stesso o i propri familiari da eventuali aggressioni nel proprio domicilio, entro i limiti della legittima difesa”. Per questo, il provvedimento della Prefettura è stato annullato e il ministero dell’Interno, che la rappresentava in giudizio, condannato a pagare le spese legali (oltre 1.500 euro). Carbone nel processo è stato difeso dagli avvocati Piefranco Ferretti e Domenico Celi.