Lo Stato, nella persona dell’Agenzia delle Dogane, pretendeva il pagamento di oltre 550 mila euro dalla Sigemi, la società titolare dell’impianto di deposito carburanti di Arquata Scrivia. La somma faceva riferimento alle accise richieste sin dal 2004 per oltre un milione di litri di benzina verde e gasolio sparite dal deposito arquatese tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003. La Sigemi, infatti, il 12 dicembre 2003 presentava denuncia “per sottrazione e conseguente immissione in consumo di oli minerali in misura superiore alle quantità indicate nei documenti di trasporto e dichiarate ai fini del pagamento dell’accisa”. Qualcuno aveva rubato il carburante immettendolo sul mercato e quindi sottraendolo al pagamento delle tasse. I presunti autori del furto, due dipendenti, insieme a sei camionisti, finirono a processo ma nel 2011 furono assolti perché non erano emerse prove sufficienti a dimostrarne la colpevolezza. Anzi, nel dibattimento era emerso “che gli oli minerali possono essere soggetti a cali anche significativi in base a fattori atmosferici ed alle temperature” e l’analisi della Guardia di Finanza non aveva escluso che l’ammanco potesse essere stato causato da “fattori naturali”, dovendosi, quindi, escludere il furto. Così, oltre ad aver perso un milione di litri di benzina verde e gasolio per un valore di circa un milione di euro, la Sigemi si trovò a dover pagare le accise per 550 mila euro.

Il deposito Sigemi di Arquata Scrivia

Secondo l’Agenzia delle Dogane, la società, quale depositario autorizzato di prodotti petroliferi, era stata ritenuta “responsabile di ogni rischio connesso alla circolazione dei prodotti soggetti ad accisa”. La Sigemi non aveva ritenuto corretta la decisione e aveva quindi presentato ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Alessandria, la quale lo aveva respinto sostenendo che il furto non era assimilabile alla perdita di prodotto e se il carburante era stato messo in circolazione, seppure a causa del furto, le accise dovevano essere pagate comunque dalla Sigemi. In appello, davanti alla Commissione Tributaria Regionale di Torino, il giudizio venne ribaltato proprio alla luce di quanto scritto nella sentenza di assoluzione: il milione di litri di carburante poteva essersi disperso per cause naturali, quindi mancava la dimostrazione che il prodotto potesse essere stato messo in circolazione, per cui l’accisa non era dovuta. Tesi condivisa anche dalla Corte di Cassazione, alla quale si era rivolta l’Agenzia delle Dogane. Oltre a vedersi respingere il ricorso, quest’ultima è stata condannata a pagare oltre 10 mila euro.