Leone Di Lernia la “cultura” sregolata, amata (in segreto)

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Genialità mista a trash. Stamattina a Milano si sono svolti i funerali di Leone Di Lernia, conosciuto da tutta Italia solo negli anni recenti, grazie allo Zoo di 105 di Mazzoli & c. Conosciuto e persino amato, ma rigorosamente in segreto.

Non ho mai conosciuto personalmente Leone, ma era come se ci conoscessimo per molte ragioni, non propriamente legate alla sua fama. La prima ragione, risale addirittura agli anni ’80. E Leone era già in pista da circa 20 con il suo rock’roll tranese. Allora avevo recuperato, non so come, un’audiocassetta . I Cd non c’erano o perlomeno non erano ancora così diffusi e mai, comunque, io e gli amici dell’epoca, ci saremmo sognati di comprare un suo disco, da appassionati e ferventi sostenitori del Jazz e della letteratura “on the road” di marca Kerouac. Snob col la puzza sotto il naso. E magari anche un po’ stronzi. Ma al sabato sera mentre dissertavamo di Marx o di Cristo (da buoni sfigati) sulla Simca 1000 color blu siderale (la mia) o sulla 127 rosso sangue raggrumato (di Marco) lungo le strade alessandrine, lo stereo estraibile risuonava “E salutam a sord”, “Te si magnate la banana” e “Auz”, brani divenuti la nostra colonna sonora di sottofondo, ma non troppo visto il volume. Ci piaceva quel modo di dissacrare in maniera antisociale “l’altro sabato sera”, ovvero quello dei coetanei che invece che di un’inebriante nottata all’addiaccio tra le nebbie mandrogne, godevano di un insignificante tempo pulsante trascorso in discoteca, tra gnocca, spini e alcolici. Questi ultimi però non mancavano neanche a noi. Ecco, adesso entriamo nel vivo.

Con la scusa della dissacrazione e dell’abbattimento dei valori dell’effimero, Leone animò e rallegrò quei nostri lunghi e (poco) entusiasmanti sabato sera. In seguito, una sorta di destino matrimoniale mi condusse a Trani, la città di Leone, che ormai inconsciamente mi era entrato nel cuore. Anzi, faceva ormai parte della mia piccola cultura. E lo dico senza vergogna perché Leone Di Lernia ha veramente rallegrato parte della mia gioventù con le sue canzoni volutamente plagiate e audacemente blasfeme. A Trani, però, dove per cause di forza maggiore e contro la mia volontà dovevo recarmi ogni estate, ero convintissimo che Leone Di Lernia fosse una sorta di eroe locale. Tutt’altro. Diciamo che tutti i tranesi lo conoscevano e sapevano a memoria ogni sua canzone. Ma non lo ammettevano, se ne vergognavano. Pensavo: “perlomeno a Trani mi faranno sentire le sue canzoni, così, tanto per farci quattro risate…” Invece tutti, ma proprio tutti rispondevano con la solita solfa: “Quello è la vergogna di Trani, putesse schiattar ‘n cuorp”. Specialmente se a domandare di Lui, era una voce con accento settentrionale (sempre un “milanese” per i tranesi). Poi mi divertivo a citare una sua canzone, ad esempio: “ma come, non conosci neppure “Na gaccia’d avè”? “Aaaaaah…. – Rispondevano i colti tranesi – ma quella è vecchia!”-. Questo, puntualmente, significava che i concittadini lo conoscevano benissimo, canzone per canzone, ma non ammettevano di ascoltarlo. Però, con finto disprezzo, in tutti i bar mettevano nel juke box le sue canzoni divertendosi un mondo. “Ma sienti che cazzete che dic cudd…”.

Non ho mai conosciuto di persona Leone, come detto, ma perlomeno ebbi la soddisfazione di vederlo passeggiare, tronfio, alla “Villa” (i giardini) di Trani una sera, in compagnia della Sora Nenna e di un bambino di circa 10 – 12 anni. Forse Davide.  Leone guardava circospetto dappertutto sperando di essere riconosciuto. Soffriva nel sentirsi ignorato ma invece lo notava chiunque.

Questa, poi, devo proprio raccontarla. Un bel giorno consigliai a un mio carissimo amico, già mio compagno di banco ai tempi “degli stronzi” di cui sopra, molto conosciuto: Umberto Petrin da Broni, uno dei più importanti pianisti di jazz d’avanguardia italiani (più intellettuale di così, si muore), di andare a trascorrere una settimana a Trani che poi è una bellissima città, con quella splendida cattedrale che domina sull’Adriatico. Umberto andò con la fidanzata e al ritorno mi ringraziò raccontandomi un aneddoto. “Grazie Gino, per avermi consigliato di andare a Trani, sono stato benissimo. Ma sai chi ho conosciuto per puro caso????!!! Leone di Lernia! Eravamo seduti davanti a un bar ed era seduto vicino a noi. I suoi amici di Trani lo prendevano in giro: “Tu si a munnezz… vattinn a fatichè!”. Quando capii di chi si trattava mi alzai per stringergli la mano complimentandomi con lui. Non gli parve vero. “Avit vist? – disse rivolto agli amici -. A me al nord mi conoscono e mi rispettano.  Ma qua nisciun è profeta”.  Quando poi seppe che ero un ”collega” sembrò diventare un gigante”-. Inconsciamente Umberto Petrin gli regalò una delle più grandi soddisfazioni della sua vita. Proprio davanti alla sua gente che lo ha bistrattato per quasi 79 anni e che, malgrado tutto, lo ha sempre invidiato.


Ps: Chissà che un giorno a Trani non decidano di intitolargli una via, o magari una statua, come è avvenuto per Astor Piazzolla. Altro illustre tranese.