Pagoda del centro Vipassana
Pagoda del centro Vipassana

Sabato 4 marzo comincia una delle tappe più importanti di questa nuova esperienza indiana. Dopo 8 settimane di viaggio esteriore, percorrendo circa 3500 km in treno, bus e barca, è ora di compiere un percorso interiore lungo e profondo. Ciò avviene tramite un corso di Vipassana, un tipo di meditazione buddista aperta a persone di qualunque religione. Ho 3 anni e mezzo di pratica alle spalle perché ho fatto il primo corso a ottobre 2013, sempre in India. Da allora ho completato in totale 3 corsi da 10 giorni e ho lavorato come volontario in altri tre corsi. Nella vita quotidiana ho sempre meditato un’ora al giorno, negli ultimi mesi due ore, ogni mattino e ogni pomeriggio o sera. Il luogo del nuovo corso è Sarnath, e non potrebbe essere più significativo: qui Buddha diede il suo primo discorso dopo l’illuminazione, esponendo la Quattro Nobili Verità e l’Ottuplice Sentiero per raggiungere il nirvana.

Arrivo al centro, compilo i formulari di registrazione e mi sistemo nella piccola e spartana stanza singola con bagno che viene messa a disposizione. Il corso prevede alcune regole molto severe, ormai ben note: nobile silenzio (non si può mai parlare), non si può scrivere, leggere, ascoltare musica. E naturalmente non si possono usare cellulare e internet. Sono previsti solo due pasti quotidiani: colazione alle 6.30 e pranzo alle 11. Nel pomeriggio viene servita acqua e limone. Questa impostazione monastica serve a creare l’ambiente ideale per svolgere l’unica attività importante per questi 8 giorni: meditare, meditare, meditare! Sveglia alle 4 del mattino e subito seduti sul cuscino a gambe incrociate, per un totale di 10 ore al giorno. Oltre ai pasti sono previste alcune ore di riposo e il discorso serale dell’insegnante, che si concentra sulla spiegazione di uno dei discorsi di Budda. La tecnica, molto pragmatica e anti-esoterica, consiste nell’osservare prima il respiro naturale (l’aria che entra e che esce dalle narici) e poi le sensazioni corporee, “scannerizzando” il corpo dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa. Ciò che può sembrare facile è estremamente difficile perché la mente tende a decontrarsi tutto il tempo.

Come le altre volte, per me è come una corsa sulle montagne russe: passo da momenti in cui la mente sembra “una scimmia ubriaca con la coda in fiamme” ad altri, soprattutto a fine corso, dove resto concentrato molto a lungo, con un respiro ridotto al minimo e una mente tranquilla. A poco a poco si sviluppa anche l’equanimità, cioè la capacità di osservare in modo oggettivo sia le sensazioni di dolore, sia quelle di piacere. Chi vuole saperne di più, può leggere il capitolo del mio libro “Massi on the road in India”, interamente dedicato alla meditazione Vipassana: Massi on the road in India – Meditazione Vipassana 

Il 12 marzo il corso finisce e posso di nuovo parlare. Dopo aver lasciato una donazione (non c’è un prezzo fisso, ognuno lascia quando vuole e può permettersi) conosco alcuni dei compagni di corso, in totale 17. Sono tutti indiani tranne un canadese, un australiano e una tedesca. Con loro trascorro i due giorni successivi a Sarnath, esplorando la cittadina che attrae pellegrini buddisti da tutto il mondo. C’è un meraviglioso sito archeologico con i resti di vari templi e della famosissima colonna di Ashoka, un imperatore del 3 secolo a.C. Che ai suoi tempo contribuì molto alla diffusione del Buddismo. Lo stupa di 35 metri, solitario e imponente, è stato costruito nel luogo del primo famoso discorso di Budda.

Ma il 13 marzo è una giornata molto speciale per tutta l’India perché si celebra Holi, la festa dei colori. Dopo aver meditato sul prato insieme ai miei amici, mi dedico a qualcosa di molto più profano ma di altrettanto importante nella mia vita: ballare! Mi allontano dal centro e seguo stradine di campagna per un paio di chilometri, cercando l’origine della musica. Alla fine lo trovo: un impianto stereo molto potente sta piacevolmente assordando gli abitanti di un paesino con capanne di fango e paglia, mucche che girano ovunque e persone che si tirano addosso polveri di tutti i colori. Sono molto sorpresi di vedere un bianco e mi accolgono all’indiana: facendomi molte domande, tra tutte nome, nazionalità e se sono sposato. Una volta rotto il ghiaccio mi invitano a ballare e mi segnano la fronte con vari colori, ma senza esagerare. I ragazzi sembrano danzatori professionali, io un po’ rigido e impacciato come al solito, ma non importa lo stile, bensì esserci. Come spesso accade questo magico e pazzo paese mi porta a vivere l’attimo presente, sia meditando sia ballando!