Vignole: il 4 novembre con le lacrime agli occhi

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Come ogni anno anche in questo 4 novembre, Vignole si è stretta attorno al monumento dei caduti, per onorare i sacrifici dei soldati morti a difesa della Patria.

Non meraviglia che a distanza di quasi un secolo,  il 4 novembre continui a suscitare emozione. Questa non è solo la giornata che ha segnato la fine della Prima Guerra Mondiale, ma in quella data andò a compimento il processo di unificazione nazionale, (con l’annessione di “Trento e Trieste”), iniziato in epoca risorgimentale, e che aveva portato alla proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861. In quella guerra gli italiani per la prima volta combatterono fianco a fianco, sotto la stessa bandiera.

La “Grande Guerra” fu un conflitto doloroso, che decimò un’intera generazione. Quei ragazzi del ’99, giovani che spesso mai erano usciti dal loro mondo: contadini, operai, ma anche giovani ufficiali morti nelle trincee. Un numero di vittime impressionante, solo nel nostro Paese se ne contano più di un milione.

Tra loro il tenente  Adolfo Ferrero, torinese di anni 20, 3° Regimento Alpini. Battaglione. Val Dora, Medaglia d’Argento al V.M., laureato ad honorem in Lettere e Filosofia.

Adolfo Ferrero morì il 19 Giugno durante la battaglia dell’Ortigara. Alla vigilia dello scontro scrisse una lettera alla famiglia. La lettera, letta sabato mattina nel corso della funzione religiosa dal sindaco di Vignole Giuseppe Teti, non arrivò ai genitori del tenente. Ferrero l’aveva affidata al suo attendente perché la recapitasse nel caso gli fosse successo l’irreparabile, ma anche il giovane attendente cadde in battaglia e la lettera, insieme ai resti mortali di questo ragazzo, è stata rinvenuta  dopo oltre 40 anni, in perfetto stato di conservazione e con ancora evidenti tracce di sangue.

Questo il testo della lettera e a seguire le foto della giornata, che ha visto partecipi la Banda di Arquata Scrivia e i ragazzi della terza media della scuola di Vignole, che hanno fatto l’appello dei caduti.

Cari genitori, scrivo questo foglio nella speranza che non vi sia bisogno di farvelo pervenire. Non ne posso fare a meno. Il pericolo è grave, imminente. Avrei rimorso se non dedicassi a voi questi istanti di libertà, per darvi un ultimo saluto.

Voi sapete che odio la retorica… No, no, non è retorica quella che sto facendo. Sento in me la vita che reclama la sua parte di sole; sento le mie ore contate, presagisco una morte gloriosa, ma orrenda.

Fra cinque ore qui sarà un inferno. Fremerà la terra, s’oscurerà il cielo, una densa caligine coprirà ogni cosa e rombi e boati risuoneranno fra questi monti, cupi come le esplosioni che in questo istante medesimo sento in lontananza.

Il cielo si è fatto nuvoloso: piove. Vorrei dirvi tante cose… tante…. ma Voi ve l’immaginate. Vi amo tutti, tutti…. Darei un tesoro per potervi rivedere… Ma non posso… Il mio cieco destino non vuole. Penso in queste ultime ore di calma apparente, a te, Papà, a te, Mamma, che occupate il primo posto nel mio cuore; a te, Beppe, fanciullo innocente, a te, Nina… Che debbo dire? Mi manca la parola: un cozzar di idee, una ridda di lieti e di tristi fantasmi, un presentimento atroce mi tolgono l’espressione… No, No, non è paura. Io non ho paura!

Mi sento commosso, pensando a Voi, a quanto lascio, ma so di mostrarmi forte dinanzi ai miei soldati, calmo e sorridente. Del resto anch’essi hanno un morale elevatissimo. Quando riceverete questo scritto, fattovi recapitare da un’anima buona, non piangete. Siate forti come avrò saputo esserlo io.

Un figlio morto in guerra non è mai morto. Il mio nome resti scolpito nell’animo dei miei fratelli; il mio abito militare, la mia fidata pistola (se vi verrà recapitata), gelosamente conservati, stiano a testimonianza della mia fine gloriosa.

E se per ventura mi sarò guadagnata una medaglia, resti quella a Giuseppe. O genitori, parlate, parlate, fra qualche anno, quando saranno in grado di capirvi, ai miei fratellini, di me, morto a vent’anni per la Patria. Parlate loro do me; sforzatevi di risvegliare in loro il ricordo di me… Che è doloroso il pensiero di venire dimenticato da essi… Fra dieci, vent’anni forse non sapranno più d’avermi avuto fratello… A voi mi rivolgo.

Perdono, perdono vi chiedo, se vi ho fatto soffrire, se v’ho dato dispiaceri. Credetelo, non fu per malizia. la mia inesperta giovinezza vi ha fatto sopportare degli affanni: vi prego di volermi perdonare… Spoglio di questa vita terrena andrò a godere di quel bene che credo di essermi meritato.

A voi, Babbo e Mamma, un bacio, un bacio solo che dica tutto il mo affetto.

A Beppe, a Nina un’altro ed un monito: ricordatevi di vostro fratello. Sacra è la religione dei morti. Siate buoni. Il mio spirito sarà con voi sempre.

A Voi lascio ogni mia sostanza. É poca cosa. Voglio però che sia da Voi gelosamente conservata. A Mamma, a Papà lascio…il mio affetto immenso. É il ricordo più stimabile che posso loro lasciare. Alla zia Eugenia, il Crocefisso d’argento; al mio zio Giulio, la mia Madonnina d’oro. La porterà certamente. La mia divisa a Beppe, come le armi e le robe mie.

Il portafoglio (L. 100 ) lo lascio all’attendente.

Un bacio ardente d’affetto dal vostro aff.mo Adolfo