Come possiamo fidarci di coloro che nascondono queste informazioni che riguardano la salute dei cittadini?”. Mario Bavastro, del circolo Legambiente Vallemme pone questa domanda riferita alla “scoperta” che il cantiere del Terzo valico di Radimero è stato attrezzato per scavare rocce verdi, cioè contenenti probabilmente amianto. Una notizia che nessun soggetto coinvolto in qualche modo nella realizzazione dell’alta capacità ha ufficialmente diffuso, proprio come era avvenuto nel cantiere ligure di Cravasco, tre anni fa. Per Radimero, il 7 febbraio, Rfi, interpellata sui ritardi nello scavo, aveva parlato di questioni di carattere tecnico senza però dire nulla sull’amianto. Nei giorni scorsi è stata nuovamente interpellata alla luce di quanto emerso sulla fibra killer ma la società delle Fs è rimasta in silenzio. Nel cantiere arquatese da alcuni anni si sta scavando il tunnel appenninico verso Genova e ora, come confermano dalla Regione, c’è il fondato timore che la talpa meccanica, arrivata a ridosso delle sorgenti di Sottovalle (a rischio distruzione) incontri notevoli quantità di amianto. Per questo, il cantiere è stato attrezzato per affrontare l’emergenza, con particolari attenzioni nello scavo, nella tutela dei lavoratori e nello smaltimento dello smarino.

Il cantiere di Radimero

È già stato avviato un sondaggio di circa 200 metri nel tunnel per capire quale sia la situazione, senza però, come si diceva, che di questa delicata fase dei lavori sia stata informata la popolazione. “La notizia – commenta Bavastro – curiosamente non è stata resa nota da Rfi o da Cociv. Quest’ultimo, va ricordato, aveva addirittura negato la presenza dell’amianto”. Emblematica, a tal proposito, la risposta che diede il governo nel 2012 a un’interrogazione del senatore Mario Lovelli (Pd), ex sindaco di Novi. L’allora sottosegretario Guido Improta prese per buoni i sondaggi fatti eseguire dal Cociv, dai quali emergeva che “la quantità di minerali di amianto è risultata modesta“. Tesi che già anni prima la Regione e la Provincia, nell’approvare i progetti definitivi del Terzo valico, nel 2005, aveva contestato, richiedendo ulteriori approfondimenti. “Già nel 1997 – ricorda ancora Bavastro -, in una seduta della Commissione di Valutazione di impatto ambientale, era emerso che l’amianto era presente nelle rocce dell’Appennino e che avrebbe quindi essere tenuto in considerazione. Cosa che però non avvenne nella redazione dei progetti definitivo ed esecutivo del Terzo valico. Solo nel 2013, grazie alla segnalazione di associazioni e comitati, si pensò al protocollo amianto. Per questo mi chiedo come possiamo fidarci di chi l’opera la sta costruendo e la sta facendo costruire per conto dello Stato, cioè Cociv e Rfi”.

Una talpa meccanica del Terzo valico

La Regione annuncia notevoli provvedimenti cautelativi, come la suddivisione della galleria, finora lunga circa 4 km, in tre parti (area contaminata, area di decontaminazione e area incontaminata) e l’applicazione del limite massimo di amianto nell’aria di 2 fibre per litro rispetto alle 100 previste dalla legge, “per applicare il principio di precauzione e tutelare al massimo i lavoratori e l’ambiente esterno”. Va ricordato che negli anni scorsi furono numerosi i medici che, interpellati da comitati e associazioni, dissero a chiare lettere che l’amianto del Terzo valico non andava scavato essendo la qualità dell’aria della nostra provincia già tutt’altro che rassicurante. Lo smarino che contiene l’amianto sottosoglia viene infatti comunque depositato nelle cave del Terzo valico. Nel frattempo, nel 2018 la linea ferroviaria è stata certificata come opera inutile.