Il monte Tobbio, simbolo del trekking (foto Zano 1993)

E’ arrivata quasi a 4 mila sottoscrizioni la raccolta firme rivolta ai ministri Patuanelli (Politiche agricole) e Speranza (Salute) con la quale di rivedere l’ordinanza che vieta il trekking e altre attività sportive nei 114 Comuni piemontesi e liguri della zona infetta proclamata dopo la scoperta delle carcasse di cinghiali uccisi dalla peste suina africana. Il provvedimento è stato motivato, tra l’altro, con la necessità di evitare che la presenza umana nei boschi possa spaventare e quindi far spostare gli animali, diffondendo il morbo. La petizione è stata pubblicata on line tramite il sito change.org (https://www.change.org/p/onorevoli-ministri-patuanelli-e-speranza-no-all-ordinanza-che-impedisce-il-trekking) e fino a poche ore fa aveva raggiunto quota 3.900 firme. Ecco parte del testo: “È ragionevole supporre che la peste suina sia già ampliamente diffusa e che le carcasse note di animali contagiati non rappresentino che una piccola percentuale di quelli realmente infetti. La via primaria di contagio avviene direttamente da animale malato ad animale sano e l’eventualità della trasmissione indiretta a opera dell’uomo (per aver pestato escrementi o residui organici, per esempio) rappresenta una possibilità molto remota e statisticamente insignificante, data la catena di eventi che dovrebbe verificarsi. Perché un escursionista diventi veicolo di contagio egli dovrebbe: pestare un residuo organico di cinghiale – portarselo a casa – usare quelle scarpe altrove e conseguentemente lasciare residui – poi un cinghiale dovrà andare a grufolare proprio lì e ammalarsi.

É chiaro come questa catena di eventi rappresenta un veicolo di contagio statisticamente irrilevante rispetto alla trasmissione da animale ad animale sicuramente in atto. La malattia non contagia l’essere umano. È presumibile che la malattia sarà riscontrata a breve anche in altre aree. Quando questo accadrà la linea resterà quella di vietare le attività outdoor? Fino a dove? Il cinghiale é diffuso su tutto il territorio nazionale. Fino a quando? La filiera suinicola va protetta, a mio modesto parere, a livello di allevamenti: questi ultimi costituiscono un sito chiuso, isolato ed isolabile, da proteggere attraverso l’applicazione di rigide pratiche igienico sanitarie e controllando ciò che entra e esce dall’allevamento stesso (mangimi, acqua, residui da smaltire, ecc.).  Garantire la possibilità di fare attività all’aria aperta é estremamente importante (trekking, sport, ecc.) soprattutto nell’attuale contesto pandemico (quarantene, lunghi periodi al chiuso, imposizione dell’uso delle mascherine anche per i bambini). Le attività immersive nella natura non comportano assembramenti e è scientificamente riconosciuto che giovano all’equilibrio psicofisico e alla salute di tutti, con particolare riferimento alle giovani generazioni. Nell’area in oggetto sussistono attività economiche (bar, ristoranti, campeggi, piccole imprese agricole che fanno anche vendita diretta, ecc.) che traggono dal turismo sostenibile il loro reddito e saranno pesantemente colpite dai divieti in essere, questo dopo il difficile periodo di lock down degli anni scorsi.

Gli allevamenti sono a rischio a causa della peste suina africana

È evidente che l’ordinanza non può avere effetto sul comportamento della fauna: cinghiali, altri animali, lupi, coprofagi, mangiatori di carogne, continueranno a spostarsi e ad agire da potenziali vettori.  Alla luce di queste sintetiche considerazioni il provvedimento appare del tutto sproporzionato. Sono fermamente convinto che la sospensione della caccia mantenendo la possibilità di praticare camminate, nordic walking, trekking, corsa, ecc., rimanendo sui sentieri sarebbe un provvedimento più equilibrato e adeguato all’attuale situazione.  Vi invito pertanto a rivedere l’ordinanza in oggetto garantendo alla cittadinanza la possibilità di fare trekking e altre attività similari nella zona in oggetto e nel resto del territorio nazionale”.