Ultimi giorni ad Addis Abeba: calcio, regali e il rito del caffè!

Si conclude l'esperienza di Massi on the road nel paese del Corno d'Africa

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Sabato 17 novembre io, l’austriaca Irita e il Salesiano indiano Fr Jiji lasciamo Adwa e torniamo con un volo a Addis Abeba. Il giorno successivo loro proseguono per Dilla, nel sud del paese, per completare il documentario sul programma solare. Io, invece, resto nella capitale, perché sono ormai quasi alla fine dell’esperienza etiopica. La domenica pomeriggio prendo il treno locale e scendo alla fermata “Stadium”: migliaia di persone affollano la zona e vengo a sapere che tra un paio d’ore comincia Etiopia-Ghana, valida per le qualificazioni alla Coppa d’Africa. Ci penso un attimo, poi decido di tornare a vedere una partita di calcio, a 20 anni esatti dall’ultima volta (Inter-Bari 2-3 nel lontanissimo novembre 1998!). Nelle curve il biglietto costa 15 birr (circa 45 centesimi), ma le code sono lunghissime. Arrivo alla tribuna coperta e non c’è quasi nessuno: dopo un veloce controllo pago 150 birr (meno di 5 euro) e sono dentro.

La partita Etiopia-Ghana

C’è il tutto esaurito e i tifosi, in gran parte etiopici, cantano e saltano pieni di entusiasmi. Le formazioni scendono in campo e dopo due minuti il Ghana è già in vantaggio. Dopo altri venti minuti raddoppia su calcio di rigore. Nel secondo tempo l’altitudine (2400 metri) si fa sentire: gli ospiti sono scoppiati e l’Etiopia corre ancora tantissimo, ma non riesce a segnare. Passo un bel pomeriggio che mi ricorda tempi antichi, quando da ragazzo giocavo a calcio e andavo spesso a San Siro a vedere l’Inter.
Il lunedì torno al “Bosco Children”, uno dei progetti dei Salesiani, per comprare alcuni portachiavi. Completo lo shopping in un negozio di souvenir e ho già tutti i regali di Natale per parenti e amici!

Massi allo stadio di Addis Abeba

Il martedì trascorro ancora qualche ora in ufficio per raccogliere le ultime informazioni, poi nel pomeriggio mi godo il sole caldo, sdraiato in un parco. Prima di partire ci tengo a salutare Zemad, la proprietaria di un piccolo bar del quale sono diventato cliente fisso nelle giornate ad Addis Abeba. Parla inglese piuttosto bene e quindi sono andato spesso da lei per bere “chai” (té) o “bunna” (caffè). Secondo una leggenda proprio in Etiopia è stato “scoperto” il caffè: tanto tempo fa un pastore chiamato Kaldi portava a pascolare le sue capre. Un giorno queste incontrando una pianta di caffè ne mangiarono le bacche e masticarono le foglie. Arrivata la notte, le capre, invece di dormire, si misero a girare con energia e vivacità mai viste prima. Osservando questo, il pastore abbrustolì i semi della pianta scoperta dal suo gregge, poi li macinò e ne fece un’infusione, ottenendo il caffè.

Zemad prepara il caffé

Ancora oggi per la preparazione di questa bevanda si organizza un vero e proprio rituale: per prima cosa si provvede alla torrefazione del caffè verde sui carboni ardenti in un braciere. Mentre i chicchi vengono tostati ogni partecipante può annusare il fumo aromatico che si diffonde nella stanza. Dopo avviene la macinazione dei chicchi, di solito con un mortaio e un pestello di legno. Il caffè macinato viene poi messo in un vaso speciale in ceramica – la jebena – per la bollitura. Quando il caffè bolle, attraverso il collo si versa dentro ad un altro contenitore per raffreddarlo, e poi viene rimesso nella caffettiera e infine servito in delle piccole tazzine senza manico. Durante il mese trascorso in Etiopia ho bevuto molto spesso caffè, e non faccio eccezione in questo ultimo giorno: pieno di energie saluto i Salesiani, carico gli zaini sulle spalle e sono pronto a tornare a casa!