Venerdì 9 novembre lascio Dilla e un doppio volo mi porta nel Tigray, la regione settentrionale dell’Etiopia. Nel tardo pomeriggio arrivo a Adua e vengo accolto dai Salesiani locali. Questa cittadina sui 2000 metri, circondata da montagne imponenti, ha un ruolo fondamentale nella storia etiope: nel 1896 le truppe dell’imperatore Menelik I sconfissero l’esercito italiano. Una vittoria memorabile per il paese africano, una sonora bastonata per le ambizioni coloniali dell’Italia. Nel fine settimana faccio il turista, accompagnato da Asmalesh, Samir e Semere, tre insegnanti della scuola tecnica Don Bosco.
Il sabato visitiamo Axum, capitale di un vasto impero tra il primo e il quinto secolo dopo Cristo. Il sito archeologico è ricchissimo: una guida racconta l’origine delle numerose steli, imponenti monumenti funerari scavati da singoli blocchi di granito. Il più alto, 33 metri e 517 tonnellate, è probabilmente caduto mentre veniva eretto.
L’importanza delle persone sepolte (imperatori e nobili) si valutava in base alle dimensioni di queste steli; i corpi venivano sepolti sotto di esse, insieme a preziosi tesori.
Il giorno successivo si rivela uno dei più avventurosi della mia vita da “Massi on the road”. Con il mio gruppo di nuovi amici saliamo su un minibus locale. Dopo 90 chilometri di curve e paesaggi fantastici, proseguiamo ancora una mezzora su una strada sterrata. Da lontano ammiriamo già l’imponente massa dell’altipiano di Debre Damo, famoso per il suo monastero. Fu fondato nel sesto secolo da Abuna Aregawi, uno dei nove santi venuti il Etiopia per predicare il Cristianesimo. Per scalare i 15 metri di parete di roccia piatta sembra che Aregawi utilizzò un lungo serpente. Per ricordare questa leggenda, ancora oggi l’unico accesso possibile è con una corda. Mi faccio imbragare per sicurezza e comincio la scalata, sguardo verso l’alto e in pochi minuti sono in cima.
Sull’altipiano ci sono due chiese e le abitazioni dei monaci: oggi solo 80, ma in passato fino a 1000! L’accesso con la corda e il divieto di ingresso alle donne limitano il potenziale turistico di questo luogo magico.
Restiamo a lungo ad ammirare il paesaggio, poi è il momento di scendere. Guardo in basso e mi viene paura, le gambe tremano e il cuore batte a mille. Mi faccio animo con una preghiera e appena terminata la discesa bacio la terra: grazie Debre Damo per queste emozioni fortissime, ma una volta basta e avanza per questa vita!
Dopo il weekend in giro, lunedì torno al “lavoro”: raccogliere informazioni sul programma solare della scuola tecnica Don Bosco di Adwa. Mercoledì arrivano Irita (responsabile dell’ONG Jugend Eine Welt) e Fr Jiji, un salesiano indiano, regista e fotogrado. Nei giorni successivi siamo impegnati a girare un documentario: una parte delle riprese avvengono a scuola, sia nelle aule sia sul tetto dell’edificio. Salgo varie volte su e giù da una scala fotografare il regista e gli “attori”, cioè alunni e insegnanti che installano i pannelli solari. Grazie all’energia pulita e rinnovabile del sole le lezioni serali possono avere luogo nonostante i numerosi black-out della linea elettrica pubblica.
Per contestualizzare il documentario usciamo da Adwa: nelle zone rurali le risorse più importanti sono la coltivazione di cereali e l’allevamento, soprattutto di mucche e capre. Qui spesso manca l’elettricità e lo sviluppo di semplici lampade e caricabatterie solari possono migliorare nettamente la vita di tante persone. Conosciamo numerose famiglie, che ci guardano incuriosite mentre ci aggiriamo tra campi e capanne, chiedendo il permesso di riprendere alcune scene. Anche se loro parlano solo la lingua locale, il tigrino, ci capiamo con qualche parola in inglese e a gesti. Tra un “ciak” e l’altro gli ultimi giorni in Tigray volano via in un attimo ed è ora di tornare ad Addis Abeba.