La ex Fn di Bosco Marengo resta un sito inidoneo a custodire i rifiuti nucleari così come tutti gli altri siti del Piemonte, come Trino, Saluggia e Tortona (capannone della Campoverde), che insieme sommano l’80% dei materiali radioattivi italiani. È il messaggio arrivato dal convegno “L’eredità nucleare: a che punto siamo?”, organizzato on line da Legambiente, Pro Natura e dal Comitato di vigilanza sul nucleare, che chiedono al governo di rispettare i tempi della realizzazione del deposito unico nazionale e trasparenza nell’iter. I rifiuti dell’ex Fn al momento si trovano nel Lazio per essere ricompattati ma torneranno in Piemonte, nonostante le richieste delle associazioni ambientaliste e un’interrogazione firmata nel 2017 dai parlamentari 5 stelle, nella quale si evidenziava quanto già spiegato dalle associazioni: “Bosco non può essere un deposito temporaneo a fronte del rischio sismico, della vicinanza a un importante arteria stradale e a ben due aziende a rischio di incidente rilevante, e della sua collocazione sopra una delle tre falde acquifere più profonde della Pianura padana occidentale”. Non solo: nel 2015 era stato reso noto il rapporto finale dello studio dell’Istituto superiore di sanità dal titolo “Stato di salute della popolazione residente nei Comuni già sedi di impianti nucleari”, del gennaio 2015, nel quale si sottolineava come a Bosco Marengo “la mortalità generale risulta in eccesso, rispetto alla popolazione regionale, così come la mortalità per le malattie del sistema circolatorio”.

(dal sito sogin.it)

Nello studio si citava tra le patologie con una evidenza sufficiente o limitata di associazione con esposizioni a radiazioni ionizzanti, il tumore della tiroide, il tumore del polmone, il tumore dell’utero e la malattia di Hodgkin. Non solo: lo smantellamento della ex Fn sta incontrando ostacoli. Nel 2014 erano stati scoperti plastica, ferro, cemento, legno e fusti petroliferi interrati nei decenni passati durante le attività dell’impianto Fn. Durante lo scavo per la bonifica nel terreno nel 2019 è emersa una radioattività da Cesio 137, secondo la Sogin, che parla di una “leggera anomalia radiometrica” legata al disastro di Chernobyl, “presumibilmente concentratasi in quel punto a causa del seppellimento di vegetazione prodotta dalla manutenzione delle aree verdi dell’impianto, successivamente all’evento del 1986”. Poi ci sono gli undici fusti di rifiuti liquidi radioattivi scoperti dentro lo stabilimento. La Sogin sostiene di aver effettuato tutti gli approfondimenti richiesti dall’Isin, circoscrivendo la radioattività rilevata solo ai rifiuti liquidi contenuti negli undici fusti e di escluderne la presenza in altre strutture e rifiuti dell’impianto. Nel convegno di Legambiente, sempre a proposito di Bosco Marengo, si è parlato però anche di radioattività da Americio, Cobalto, Stronzio, Plutonio e Torio, tutti presenti nel terreno, “in quantità tra le centinaia e le migliaia di bequerel per chilo – secondo Michela Sericano di Legambiente – , non compatibili con le attività dell’impianto FN che si occupava della fabbricazione degli elementi di combustibile, e che quindi non avrebbe dovuto aver presenza né di prodotti di fissione né di transuranici”.

Rifiuti nucleari in un’immagine di repertorio

L’Isin ha avviato con la Sogin l’istruttoria per la ripresa della disattivazione e per il successivo trattamento dei rifiuti liquidi per la loro messa in sicurezza e l’invio al futuro deposito nazionale nucleare. Su quest’ultimo progetto, le associazioni hanno affermato: “Dobbiamo esigere il trasferimento al più presto di tutti questi materiali pericolosi in un sito meno inidoneo, scelto con oggettività e trasparenza, senza i vari “mercanteggiamenti” a cui in Italia siamo stati purtroppo abituati”. Durante il convegno stato quindi espresso l’auspicio che – come promesso poche settimane fa dal ministro dello Sviluppo economico, Patuanelli – “il governo dia al più presto il nulla osta alla pubblicazione da parte di Sogin della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (la famosa CNAPI), che dovrà mostrare quali aree rispettano i criteri della Guida Tecnica 29 già noti dal 2014: sia quelli di esclusione, sia quelli di maggiore dettaglio, in modo che tutti possano verificare che la scelta del sito “meno inidoneo” per la localizzazione del Deposito Nazionale sia davvero oggettiva e trasparente. Altre scorciatoie e furberie non sono percorribili. Occorre riprendere al più presto il percorso previsto dal Programma Nazionale per la gestione del materiale radioattivo – concludono associazioni e comitati – da dove, ormai cinque anni fa, si è interrotto; continuare a rinviare la pubblicazione della CNAPI e le tappe successive per l’individuazione del sito per il Deposito Nazionale non significa “non decidere”: significa decidere di mantenere come deposito nazionale gli inidonei siti attuali”. Al convegno hanno partecipato anche i parlamentari dei 5 stelle Mattia Crucioli e Gianni Girotto. La data individuata per l’attivazione del deposito nazionale è il 2025 ma nessuno ci crede visti i ritardi nell’iter.