Il Consiglio di Stato ha dato “per pacifica l’esistenza di due falde acquifere nel sito” della discarica di cascina Borio ma ha ritenuto che i pozzi degli acquedotti non sono messi in pericolo dalla presenza dei rifiuti che la Riccoboni sta ammassando nella ex cava di Sezzadio. Il ricorso considerato fondamentale per chiudere in un modo o nell’altro la decennale vicenda che ha visto scendere in piazza migliaia di persone è stato vinto dalla società di Parma, che ora potrà proseguire con il conferimento, come si legge nel sito internet dell’azienda, di 1,7 milioni di metri cubi di “terre e rocce da scavo, rifiuti misti derivanti da dismissione di impianti industriali, rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti o da preparazioni per uso industriale che siano stati stabilizzati o solidificati, rifiuti solidi prodotti da bonifica di terreni, comunque non pericolosi e che non generano percolato o biogas”. Il timore di inquinamento della falda acquifera di Sezzadio-Predosa, dalla quale si alimentano gli acquedotti di molti paesi della zona, portato in piazza da cittadini e sindaci, secondo il Consiglio di Stato non ha ragione di esistere. Il Comune di Sezzadio chiedeva di annullare la sentenza del Tar che nel 2015 aveva dato ragione alla Riccoboni, annullando il no della Provincia all’autorizzazione alla discarica nella cava della Allara di Casale Monferrato. Per la Provincia la falda era considerata una “potenziale criticità dell’intervento” ma subito dopo quella sentenza l’allora presidente Rita Rossa aveva subito autorizzato la discarica, mentre il Comune di Sezzadio impugnava la sentenza del Tar. Ci sono voluti sette anni e alla fine il Consiglio di Stato non ha tenuto contro delle eccezioni dei legali del Comune, fra le quali la relazione dell’Arpa che confermava “una direzione di scorrimento dell’acquifero superficiale nell’area in questione”. I giudici del massimo organo della giustizia amministrativa hanno dato “per pacifica l’esistenza di due falde acquifere nel sito” ma, in base alle risultanze della conferenza dei servizi, hanno ritenuto che “nessuno dei pozzi degli acquedotti nei dintorni del sito risulta raggiunto da linee di flusso con origine nella discarica”. Lo stesso stabiliva l’Arpa, seppure con qualche dubbio: “Ci sono elementi che sembrano influire sulla direzione generale della falda, differenziandone localmente l’andamento in direzione Nord Ovest e in direzione Nord Est”. Il Consiglio di Stato non ha accolto neppure l’eccezione relativa all’esistenza nel sito di un’area di ricarica della falda. Le aree di questo genere servono a ricaricare le falde sotterranee grazie alle precipitazioni o ai fiumi e per Cascina Borio questa stabiliva, ha sempre sostenuto il Comune, il Piano di tutela delle acque della Regione. Il contrario di quanto dice l’Ato 6 Alessandrino, che non ha inserito l’ex cava in queste aree, tesi fatta propria dalla sentenza. Il Comune di Sezzadio è stato anche condannato a pagare più di 3 mila euro alla Riccoboni. Restano ancora in piedi i ricorsi presentati dai Comuni di Acqui Terme e Strevi e di Sezzadio contro l’autorizzazione del 2016. i Tar aveva sospeso il procedimento in attesa della sentenza del Consiglio di Stato.
“I rifiuti della Riccoboni non mettono in pericolo le falde acquifere e gli acquedotti dei paesi”.
Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso più importante contro la discarica di Cascina Borio, a Sezzadio. Per i giudici, l’acqua bevuta dai cittadini non sarà inquinata dai materiali depositati nella ex cava.