La Regione vuole a tutti i costi spendere altri 750 mila euro per il centro di documentazione della Benedicta mentre per i ruderi della cascina, in pessime condizioni, non c’è un soldo. La logica della “grandi opere” fa danni anche a Capanne di Marcarolo. Per l’edificio in costruzione ormai da sette anni nel sacrario bosiese, costato finora 810 mila euro (e non 750 mila), l’amministrazione regionale ha imposto agli enti locali la firma del protocollo di intesa entro febbraio, al massimo marzo, poiché si rischiano di perdere gli altri 750 mila euro stanziati da Regione e Provincia per i prossimi due anni. Per fare cosa? Concludere i lavori del centro, dove è previsto un indefinito “archivio” dedicato alla Resistenza e alla civiltà contadina di Capanne, un bel doppione dell’Istituto per la storia della Resistenza di Alessandria (Isral) e del museo contadino di Voltaggio. Chi lo gestirà e con quali fondi? Per ora c’è solo un bel “vedremo”, come è emerso nell’ultima seduta del consiglio del Parco Capanne, alla quale hanno preso parte anche i sindaci dell’area protetta. Nell’occasione, la firma del protocollo è stata rinviata: ancora troppi i dubbi intorno alla “grande opera”.

Un raduno alla Benedicta per ricordare l’eccidio del 1944.

Una frase più di tutte rappresenta la situazione del sacrario partigiano: “Fra dieci anni – ha detto il presidente Dino Bianchi – rischiamo di avere il centro di documentazione ma non più i ruderi della Benedicta. Avevamo chiesto di utilizzare parte dei fondi del secondo lotto del nuovo edificio per la sistemazione di quel che resta dei muri della ex cascina ma non si può, per ora”. Il sindaco di Bosio, Stefano Persano, ha ricordato che la manutenzione dei ruderi “è opera degli alpini, cittadini volontari che cercano di salvare quello che resta, visto che continuano a rubare i mattoni dei muri e le catene del sacrario. Con i lavori per il centro di documentazione è stata distrutta la strada provinciale per Capanne e danneggiato l’acquedotto”. La manutenzione del sito, sulla carta, toccherebbe alla Comunità montana, che è in fase di liquidazione. “Gli unici fondi – ha spiegato Franco Ravera, presidente dell’Unione montana dal Tobbio al Colma – li ricaviamo dagli affitti delle cascine di proprietà della Regione”.

Piove dentro il cantiere del centro di documentazione

Oltretutto, come ha evidenziato il consigliere Mario Bavastro, il cantiere del centro di documentazione, è un mezzo disastro: “Ci sono difformità tra il progetto e i lavori eseguiti. Inoltre, dentro l’edificio sta piovendo e le travi sono arrugginite. A quanto risulta, sono stati spesi più soldi del necessario per il primo lotto, per il quale potevano bastare 540 mila euro, secondo la stima di un ingegnere di fiducia. È il caso di proseguire con il secondo lotto senza sapere a cosa servirà l’immobile? Meglio abbattere tutto e aprire il centro a Bosio, nell’ex asilo”. I sindaci, che hanno comunque definito il centro di documentazione una “cattedrale nel deserto” e parlato di “soldi buttati via”, hanno proposto di andare avanti lo stesso con i lavori. “A patto – ha detto Michele Bisio, primo cittadino di Voltaggio – che si arrivi a una revisione del progetto per sistemare le cose sbagliate fatte finora. Sarebbe un insulto ai partigiani lasciare il cantiere incompiuto e demolire costerebbe troppo. Cercare inoltre i responsabili di questa scelta sbagliata vorrebbe dire bloccare tutto per altri vent’anni”. Accolta la proposta di Bisio di portare alla Benedicta dirigenti e amministratori regionali per far vedere loro il cantiere: “Nessuna firma del protocollo finché non ci sarà chiarezza sui lavori eseguiti”. Un plauso dai sindaci alla notizia del trasferimento a Pavia del dirigente provinciale Piergiuseppe Dezza, direttore dei lavori del centro di documentazione.