Due degli inquisiti brindavano con costosissime bottiglie di champagne nei locali di Ovada quando riuscivano a spartirsi gli appalti. Rischiano di brindare anche fra poco più di un anno quando il processo di Genova che vede imputati trenta tra ex dirigenti del Cociv, imprenditori delle aziende appaltatrici e altre figure finirà quasi sicuramente in prescrizione. Il procedimento è nato dall’inchiesta Arka di Noè della Procura di Genova, che nel 2016 fece il paio con l’altra inchiesta, Alchemia, dalla quale emersero i legami fra la Grande Opera e le cosche della ‘ndrangheta. Le accuse riguardano le tangenti pagate per l’assegnazione gli appalti e le pressioni fatte per ottenerli in riferimento alla costruzione del Valico. Non si usavano solo banconote fruscianti ma anche escort e altro. C’erano anche aziende che venivano cacciate poiché dovevano entrare altre “raccomandate”. È il caso della Breakout di Silvano d’Orba, che doveva inserirsi nel cantiere di Libarna ai danni della Allara di Casale Monferrato. Il titolare di quest’ultima, di fronte alle palesi irregolarità commesse dai dirigenti del Cociv, venne intercettato al telefono mentre annunciava che si sarebbe rivolto a un noto politico locale, tale Daniele, anziché denunciare i fatti ai carabinieri.
Gli investigatori filmarono Antonio Giugliano, titolare della Giuliano costruzioni, impresa che aveva vinto un appalto in Liguria, mentre consegnava a Pietro Marcheselli, all’epoca dirigente Cociv, una busta e gli diceva “ingegnè, la paghetta”. Entrambi hanno patteggiato nel 2018, insieme all’allora responsabile degli appalti del Cociv Maurizio Dionisi e a Giuseppe Petrellese, uomo della Giuliano costruzioni. Il Cociv, dopo gli arresti, mandò via dai cantieri le ditte all’epoca coinvolte nelle indagini, come la Grandi opere italiane, la Ceprini Costruzioni, Grandi Lavori Fincosit poi prosciolta e tornata nei cantieri del Terzo valico. Il consorzio venne commissariato e alla guida il governo mise Marco Rettighieri. Davanti al giudice dovranno comparire, fra gli altri, Pietro Salini, patron di Impregilo (poi diventata WeBuild), società che ha la maggioranza del Cociv e di alcune aziende appaltatrici; Stefano Perotti, ex direttore dei lavori del Cociv, amministratore della società Ingegneria Spm; Duccio Astaldi, imprenditore del settore costruzioni; Ercole Incalza, ex dirigente del Ministero delle Infrastrutture, più volte indagato e prescritto in altri processi;
Domenico Gallo, imprenditore considerato vicino alla ‘ndrangheta, che brindava a Ovada insieme a Giampiero De Michelis, all’epoca direttore dei lavori del Cociv, anch’egli a giudizio; Andrea Monorchio, già Ragioniere generale dello Stato, con il figlio Gian Domenico, proprietario della Sintel Engineering. Le accuse vanno dalla turbativa d’asta alla corruzione ma tutto potrebbe finire in una bolla di sapone entro il 2022 per via della prescrizione. Un precedente processo finito nel nulla riferito sempre al Terzo valico riguarda i cosiddetti fori pilota di Voltaggio. Il primo cantiere del Terzo valico a partire a metà anni ‘90 fu quello in alta Val Lemme ma tutto avvenne senza un progetto esecutivo approvato: quelli che dovevano essere sondaggi nella montagna erano vere e proprie gallerie, le “finestre” del tunnel verso Genova che si sta scavando adesso. Un esposto del 1998 presentato dal Wwf fece sequestrare il cantiere ma il processo partì solo cinque anni dopo dopo un rimbalzo di competenze tra Genova e Milano. Imputati di truffa aggravata ai danni dello Stato per i soldi assegnati a un’opera mai approvata erano il senatore ligure Luigi Grillo, all’epoca sottosegretario al Bilancio, gli imprenditori Marcellino Gavio, Bruno Binasco e Rosario Alessandrello e i dirigenti Italferr Massimo Palliccia e del Cociv Mario Nicolini. C’era anche Incalza: grazie alla legge ex Cirielli, che tagliava i tempi della prescrizione, si salvarono tutti. nessuno rinunciò alla prescrizione per essere giudicato nel merito. Lo faranno gli imputati del processo Arka di Noè?