Il centro di documentazione va terminato e sarà un riferimento nazionale e internazionale per la storia della Resistenza”. La Regione, per bocca del dirigente Massimo Carcione, coordinatore scientifico del progetto, non vuole sentire ragioni sulla conclusione dei lavori dell’edificio situato sotto i ruderi della Benedicta, a Capanne di Marcarolo (Bosio), che alla fine costerà 1,5 milioni di euro. Da quando il cantiere è stato aperto, nel 2011, e poi fermato due anni dopo, i dubbi da più parti sono davvero tanti e sono stati portati in una sede istituzionale per la prima volta lo scorso anno nel Consiglio delle Aree protette dell’Appennino Piemontese: perché spendere tutti questi soldi per una struttura che non si sa bene a cosa servirà? Sul punto Carcione ricorda che la Regione ha messo sul piatto 500 mila euro per concludere i lavori, fermi dal 2013, insieme ai 250 mila della Provincia. 750 mila euro che si aggiungono agli 810 mila già spesi. “Mentre i lavori – spiega il dirigente regionale – sono partiti, nel 2011, senza un coordinamento su cosa si farà nella struttura, ora tutti gli enti lo stanno decidendo insieme. Il progetto è sovradimensionato? Senz’altro sui costi ha inciso la decisione di costruire l’edificio scavando sotto i ruderi delle Benedicta, che sono un sito archeologico, situazione che non permetteva altre soluzioni. Il centro completerà il Parco della pace con gli altri edifici recuperati e al suo interno si potranno fare varie attività: la commemorazione e il concerto del 2 giugno in caso di maltempo grazie agli oltre cento posti, ma soprattutto ascoltare e conoscere la storia della Resistenza italiana e non, visto che il centro sarà collegato in rete a biblioteche e istituti storici italiani e stranieri, con i loro archivi, libri e documenti, oltre alla storia contadina locale”. Carcione parla di un centro “a livello nazionale e internazionale”.

Benedicta, la scritta compoarsa domenica scorsa davanti al cantiere del centro di documentazione

Gli altri edifici del Parco della Pace sono cascina Pizzo, anch’essa definita “centro di documentazione” nella convenzione proposta agli enti locali, e cascina Mulino Vecchio, destinato a foresteria ma mai aperto, nonostante 300 mila euro spesi per il recupero. Nino Boeti, presidente del Consiglio regionale e del Comitato Resistenza e Costituzione, spiega: “La Benedicta è uno dei luoghi della memoria più significativi del Piemonte, come è stato dimostrato domenica. Posso avere delle perplessità sull’opportunità di un intervento così impegnativo anche da un punto di vista economico ma, dopo aver speso centinaia di migliaia di euro nella costruzione dell’attuale struttura, se non si dovesse portare a termine allora quelle risorse sarebbero sprecate. Non entro nel merito della cifra, se eccessiva o coerente con l’intervento da completare”. Ci saranno le garanzie richieste dagli enti locali sui fondi per la gestione della struttura? “Le garanzie ci sono. Ribadisco: è un luogo importante per la nostra storia partigiana e quel fabbricato di cemento a metà è un’offesa ai 150 ragazzi che sono morti per la nostra libertà”. Intanto, lunedì il Consiglio delle Aree protette dell’Appennino Piemontese porterà nuovamente all’ordine del giorno la convenzione sul centro di documentazione già sottoscritta dalla Provincia e sulla quale l’Unione montana Dal Tobbio al Colma e il Comune di Bosio hanno già annunciato la loro adesione.

Don Luigi Ciotti alla Benedicta

Il circolo Legambiente Val Lemme da mesi attende dall’amministrazione di Bosio copia del progetto per valutare se i costi previsti per il centro di documentazione siano compatibili con i lavori eseguiti: finora non l’ha ricevuto. Rispetto all’appello di don Luigi Ciotti di domenica scorsa rivolto alle istituzioni affinchè si arrivi a una rapida conclusione dell’intervento, durante la commemorazione della Benedicta, Legambiente dice: “Purtroppo in questa occasione, qualcuno ha ritenuto di usare la sua rispettata figura per trasmettere informazioni non corrette, affidandole alla attendibilità di una voce come quella del fondatore di Libera a cui noi tutti riserviamo un particolare valore. Il discorso preparato per la celebrazione era sicuramente carico di contenuti importanti e di denuncia sociale e culturale verso una Politica che non ha a cuore il Bene Comune. Siamo dunque rimasti sorpresi nell’ascoltare l’esortazione di Don Ciotti rivolta ai politici locali a terminare “il Sacrario”, come lui stesso lo ha definito. L’utilizzo di tale termine ci fa presupporre che l’imbeccata su questo tema non sia stata né completa né completamente veritiera. Lo scheletro che aleggia sul luogo della Memoria, infatti, non è il Sacrario bensì un Centro di documentazione sulla Resistenza, costato finora 810 mila euro di soldi pubblici e per il quale Regione Piemonte, Provincia, Unione montana dal Tobbio alla Colma prevedono di stanziare complessivamente altri 750mila euro, sulla base di una convenzione che non definisce in modo certo e vincolante il futuro del centro di documentazione né dal punto di vista gestionale né dal punto di vista economico: requisiti, questi, che sono importantissimi e fondamentali, a nostro parere, quando si gestisce il denaro dei cittadini. Forte è il malumore e molteplici sono state le espressioni di dissenso verso questa inutile colata di cemento,tra coloro che erano presenti alla commemorazione. Ci auguriamo che su tale vicenda si faccia un ragionamento di buon senso e non legato a esigenze di Partito”.