C’è finito anche lui, forse più degli altri, nel lungo elenco dei politici che sono venuti a Novi Ligure a promettere di salvare la Pernigotti senza riuscirci, visto l’esito del tavolo ministeriale di martedì a Roma, quando è stata firmata la cassa integrazione per i 92 dipendenti e di fatto è stata sancita la fine della storia di una fabbrica nata quasi 160 anni fa. Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio è stato l’ultimo rappresentare politico a visitare lo stabilimento il 5 gennaio scorso. Nell’occasione aveva dato speranza ai lavoratori dicendo che il governo avrebbe cercato di impedire ai Toksoz di tenersi il marchio e di fa chiudere la fabbrica. “La Pernigotti deve continuare a esistere qui a Novi Ligure”, aveva detto ma così non è stato. Dopo aver annunciato la sua “Legge Pernigotti” per la tutela dei marchi, il vicepremier aveva anche ricordato che l’atteggiamento della proprietà, rispetto al 6 novembre, quando era stata annunciata la chiusura della fabbrica per il 3 dicembre, era cambiato dopo l’incontro con il premier Conte. I turchi, in effetti, avevano concesso di cercare di reindustrializzare lo stabilimento, come stanno effettivamente facendo tutt’ora, cercando un imprenditore che produca per conto loro a Novi.


Il fatto però è che la fabbrica come è stata per generazioni e generazioni di novesi non sarà più la stessa e che, a oggi, non ci sono neppure certezze sul numero di occupati. Per questo sul ministro sono piovute critiche come anche sugli altri politici. Lui su Facebook si difende: “È incredibile che chi ha distrutto lo Stato Sociale, smantellando i diritti dei lavoratori e cancellando gli strumenti d’integrazione e ammortizzazione salariale oggi venga a farci la morale. Su Pernigotti si sta speculando sulla pelle dei lavoratori, basta! Se non ci fosse stato questo governo migliaia di lavoratori oggi sarebbero già stati licenziati, non avrebbero alcun ammortizzatore e avremmo già aziende completamente chiuse e delocalizzate senza speranza alcuna. Stiamo affrontando la vicenda dello stabilimento di Novi Ligure dopo che era stato annunciato un licenziamento collettivo e la delocalizzazione della produzione. Abbiamo costretto l’azienda ad avviare un processo di re-industrializzazione e presentare istanza di cassa integrazione per garantire un ammortizzatore ai lavoratori.