La speranza di vedere nuovamente al lavoro lo stabilimento Pernigotti, seppure in condizioni ben diverse da quelle dei primi 159 anni di storia dell’azienda, sono legate alle sette imprese che hanno manifestato il loro interesse a produrre per conto del gruppo Toksoz. Alcune hanno già visitato la fabbrica di Novi Ligure, altre lo faranno il 15 febbraio, secondo quanto emerso al tavolo ministeriale di ieri, a Roma. A quanto si sa, quattro di queste sette operano nel settore dolciario e del cioccolato, una nel settore alimentare e delle bevande. A tutte è stata proposta la produzione a Novi di cioccolato, torrone e gelato. La speranza di non perdere almeno i posti di lavoro è legata a queste aziende. Alcune delle proposte parlano finora di 30-50 occupati. Il sindacato Uila Uil, con il segretario nazionale Pietro Pellegrini, con il segretario provinciale Tiziano Crocco e l’rsu Piero Frescucci, dice a proposito della firma dell’accordo sulla cassa integrazione: “Non era ciò che auspicavamo ma consideriamo un risultato positivo avere ottenuto la modifica della finalità della cassa integrazione, il che consentirà la reindustrializzazione del sito e l’attivazione del politiche attive che permette la ricollocazione dei lavoratori”.

“Il nostro impegno nei prossimi mesi” proseguono “sarà di monitorare lo stato di avanzamento del piano dell’Advisor, affinché si realizzino tutte le condizioni previste e si possa garantire un futuro allo stabilimento, alle lavoratrici e ai lavoratori di Novi Ligure”. “Anche se l’incontro si è tenuto al ministero del lavoro, non al Mise – ha dichiarato l’assessore al Lavoro della Regione, Gianna Pentenero –, il tema della reindustrializzazione è stato parte integrante del lavoro che si è svolto. Naturalmente, se la concessione della cassa integrazione rappresenta una boccata di ossigeno per i lavoratori e le loro famiglie e le politiche di ricollocazione potranno aprire nuove prospettive, ora occorrerà seguire attentamente l’evoluzione del percorso di reindustrializzazione, per evitare che vada dispersa un’eccellenza produttiva del nostro territorio, insieme ai posti di lavoro. Auspico che, nel valutare le manifestazioni d’interesse, l’azienda riconsideri la possibilità di cedere il marchio”. Le istituzioni, fanno sapere dalla Regione, hanno previsto un monitoraggio costante delle iniziative messe in atto. Il primo incontro è fissato il 20 marzo.

Giorgio Bertola

Il senatore Massimo Berutti, presente ieri al tavolo al ministero del Lavoro, commenta: “Il sostegno al reddito è un bene, purtroppo, però, la sottoscrizione della cassa integrazione è l’ennesimo capitolo di una storia triste, gestita con poca incisività dal governo. Nonostante gli annunci, Di Maio non è riuscito a proporre un piano credibile che portasse alla vendita del marchio e all’apertura di uno scenario veramente positivo per i lavoratori e per un’importante eccellenza piemontese. Auspico che la reindustrializzazione prospettata possa concretizzarsi davvero, purché ad un eventuale impegno di risorse pubbliche si facciano corrispondere impegni tangibili”. L’ultima speranza per far sì che la Pernigotti rimanesse a Novi, marchio compreso, era legata alla proposta di legge del deputato Fornaro, che il governo non ha però preso in considerazione. Il motivo lo spiegano i consiglieri regionali 5 stelle Paolo Mighetti e Giorgio Bertola, candidato alla presidenza del Piemonte: “La proposta Fornaro contiene quello che si può considerare un errore grave. Infatti si prevede la perdita dei marchi (registrati prima del 1969) se il titolare cessa la fabbricazione nel Comune in cui risultava iscritto alla data di registrazione del marchio stesso. In questo modo, molti e prestigiosi marchi italiani potrebbero essere persi. Pensate ad esempio ad alcune antiche aziende che attualmente operano a Novi Ligure nate in altri comuni del nord Italia (Campari e i marchi Elah e Dufour del gruppo Novi, solo per fare alcuni esempi). Tanto per avere un’idea dell’ecatombe che si potrebbe realizzare. Infine la delocalizzazione, per come è scritta la legge, potrebbe bypassare tranquillamente la norma lasciando una produzione minimale in loco e trasferendo gran parte della produzione all’estero”.