Le mafie qui da noi hanno trovato terreno fertile”. Carlo Piccini, esponente dell’associazione Parsifal e di Libera, ha pronunciato queste parole venerdì scorso a Bosco Marengo, durante la serata organizzata dal circolo Legambiente Val Lemme per presentare il rapporto Ecomafie 2018 di Legambiente, dedicato ogni anno alla criminalità ambientale in Italia. La serata doveva svolgersi a Voltaggio ma le richieste di chiarimento da parte del gestore di palazzo Gazzolo hanno spinto l’associazione a spostare l’evento. Inevitabile il riferimento alle mafie, le quali, come ha però sottolineato Antonio Pergolizzi, coordinatore dell’Osservatorio nazionale di Legambiente sulle ecomafie, “sono solo uno degli attori protagonisti”.

Antonio Pergolizzi

Gli altri sono gli imprenditori e i cittadini che si rendono disponibili per l’appunto a entrare nel “giro” delle ecomafie, che riguardano rifiuti e non solo. Un esempio sono i capannoni stipati di plastiche e altri materiali che vengono poi incendiati per far sparire la merce e non pagare alcun costo di smaltimento, come avviene spesso nel Nord Italia. Un caso recente è il sequestro di un capannone, avvenuto lo scorso anno, a Sale. Poche settimane fa, stessa situazione a Carbonara Scrivia. “Gli incendi – ha spiegato Pergolizzi – avvengono perché manca un mercato per questi materiali. La Cina, per esempio, da qualche tempo vuole plastica più pulita. Per questo si accumulano materiali in capannoni dimessi, privi di valore, da parte dei trafficanti di rifiuti”, che poi appiccano il fuoco.

Carlo Piccini

Pratiche che sanno parecchio di mafia, argomento che a Bosco Marengo e in generale nel territorio alessandrino è purtroppo molto attuale. Proprio a Bosco, nel 2009, venne arrestato il capo della “locale” della ‘ndrangheta, Bruno Pronestì, che abitava nella frazione di Levata. In paese, inoltre, risultano confiscati alla criminalità organizzata tre abitazioni indipendenti e altre due unità immobiliari, oltre alla famosa cascina Saetta, l’unico bene confiscato che lo Stato è riuscito a ridare alla collettività. “Nel 2015 – ha spiegato Carlo Piccini -, con l’operazione Triangolo sono finiti a processo tanti imprenditori locali mentre erano solo due i mafiosi o presunti tali. Quindi, in quel caso, sono stati gli imprenditori a comportarsi come esponenti della criminalità organizzata. Lo stesso per le due inchieste che hanno interessati i cantieri del Terzo valico, nel 2015 e nel 2016, Arka di Noè e Alchemia, dove gli ‘ndranghetisti avevano ruoli marginali. Tutti gli altri arrestati non erano certo mafiosi. E questi sono dati molti preoccupanti”. Tesi condivisa anche da Pergolizzi: “Le mafie intimidiscono gli altri soggetti sul territorio quando sono consolidate. Nei casi citati, sono stati gli imprenditori a chiamare la criminalità organizzata, senza nessuna intimidazione. Quando una società è debole favorisce la mafia grazie ai cittadini complici”.