Gentili signore e signori,

la Provincia di Alessandria ha un nuovo Presidente che non ha ancora scaldato la poltrona e già sfoggia una politica mortifera e persecutoria nei confronti della fauna selvatica, del tutto indifferente davanti al diritto naturale della ricerca del cibo che agli animali selvatici dovrebbe essere garantito. Non bastava la guerra ai cinghiali considerati un flagello per la natura: adesso è il turno dei caprioli.

A proposito di questi disgraziati animali (pare siano 1000 nel mirino della Provincia di Alessandria), c’è un brano commovente e soprattutto veritiero raccontato da Carlo Consiglio in “Divieto di caccia”, Edizioni Sonda, 2012 (pagg.70-71)

Pochi sanno che un capriolo può suicidarsi per sfuggire alla caccia. Giancarlo Ferron è un guardiacaccia che lavora sul Monte Pasubio e sulle Piccole Dolomiti vicentine. Il suo compito consiste nello smascherare i bracconieri. Nel suo libro “Il suicidio del capriolo”, descrive tra l’altro la caccia al capriolo fatta con i segugi: “Quando il capriolo è inseguito dai cani viene aggredito da un terrore che può portarlo alla morte in vari modi. Ho visto con i miei occhi caprioli inseguiti per giorni interi dai segugi, li ho visti passarmi vicino con la schiuma alla bocca spalancata per la fame d’aria. Ma non potevano rallentare perché la muta li incalzava senza sosta. So di bande di uomini, che si definiscono cacciatori, che addirittura hanno due o tre mute di cani, quando una è stanca mettono sulle tracce quella fresca. Ma il capriolo è sempre lo stesso, e a un certo punto non ce la fa più”

Se il capriolo nella sua fuga passa davanti alle poste, dove un cacciatore è in attesa, si becca una fucilata e muore. Ma può essere anche sbranato dai segugi. Oppure può passare davanti a un bracconiere che si trova lì perché sta facendo un altro tipo di caccia, ma che non si lascia sfuggire l’occasione e gli spara con un fucile a pallini, adatti per gli uccelli, così il capriolo rimane solo ferito e muore dopo un’agonia di diversi giorni; ogni anno Ferron trova parecchi caprioli morti impallinati e mai recuperati.

Un giorno era appostato in mezzo a una zona boscosa, battuta dai segugi, e sentì la braccata che si avvicinava, poi fucilate a catena. Sentì l’ultimo che aveva sparato gridare a un suo collega: “Mi pare di averlo toccato, ma non sono sicuro”. Ferron sentì un rumore di foglie secche che si avvicinava e procedeva incerto, poi con il binocolo riuscì a inquadrare la fonte di quel rumore: era un capriolo maschio seminascosto dai tronchi, che ansimava con la bocca aperta e bave lunghe fino a terra. I cani stavano arrivando e il capriolo si mosse in avanti di qualche metro: aveva la pancia completamente aperta dalla pallottola, l’intestino gli cadeva fuori in una massa sanguinolenta che toccava terra; si sforzava di camminare ma a ogni passo inarcava la schiena per il dolore e con le zampe posteriori calpestava le proprie viscere. Ferron avrebbe voluto finirlo prima dell’arrivo dei cani, ma non avrebbe mai potuto centrarlo a quella distanza con la pistola.

Non sono descrivibili i lamenti e le grida di terrore che sentii quel giorno. I tre cani lo mordevano e lo strappavano da tutte le parti. Mi precipitai là per fare qualcosa, ma quando arrivai un segugio lo aveva afferrato alla gola e lui stava già morendo”

Un altro giorno Ferron ha visto un capriolo buttarsi giù dalle rocce, suicidandosi, piuttosto che subire l’attacco dei segugi. Evidentemente il capriolo sapeva molto bene che sarebbe stato sbranato vivo, e ha fatto la sua scelta. Questa è la caccia.”

Sempre nello stesso libro, (pagg.67-68) è esposta una tesi interessante che assimila la caccia a una malattia mentale, in un paragrafo che riporta le opinioni degli psicanalisti Emilio Servadio e Karl Menninger, della psicologa Carla Corradi, e dell’antropologo Sherwood L. Washburn.

C’è da chiedersi che cosa direbbero questi professionisti se studiassero la mente di chi governa la Provincia di Alessandria.

Cordiali saluti.
(Lettera firmata)