Il metodo seguito finora per cacciare i cinghiali non funziona e va sostituito. Stop, quindi, alla braccata. Lo sostiene un documento redatto dal Ministero della Salute insieme al Ministero delle Politiche Agricole, ripreso dalle Aree protette dell’Appennino Piemontese, dal titolo “Gestione del cinghiale e peste suina africana”. La braccata consiste nell’utilizzo di cani che inseguono i cinghiali spingendoli verso i cacciatori. Una tecnica che, dati alla mano, non ha portato ad alcun risultato nei piani di contenimento dei cinghiali che sono stati messi in atto da tantissimi anni a questa parte, come dimostrano i danni alle coltivazioni, gli incidenti stradali e la peste suina africana. Per questo, il ministero, supportato dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione dell’ambiente), e le Aree protette dell’Appennino Piemontese parlano dell’applicazione di “tecniche a basso impatto”, che selezionino i capi da abbattere in modo da ridurre effettivamente il numero di esemplari, cioè femmine e giovani. La braccata, infatti, secondo il documento ministeriale, non solo non permettere di selezionare i cinghiali ma spesso coinvolge anche altri animali nella battuta di caccia.

Un esempio di tecnica a basso impatto è il tiro selettivo. In questo caso, un singolo cacciatore, armato di carabina, formato e abilitato, spara al cinghiale in base all’età o al sesso. L’altro metodo è la girata: i cinghiali vengono individuati grazie a un solo cane, detto “limiere”, “ben addestrato e con capacità olfattiva”, che li sposta verso il luogo dove si trova il cacciatore. La braccata con cani da seguita, “spesso non adeguatamente addestrati”, normalmente utilizzata per la caccia al cinghiale nel nostro Paese porta invece all’abbattimento soprattutto dei maschi di cinghiale anziché delle femmine e dei giovani. Inoltre, dividere i branchi causa “un aumento artificiale della produttività e un mantenimento delle presenze”. In sostanza, nascono più cinghiali in questa condizioni. Infine, la braccata porta i cinghiali a spostarsi, diffondendoli sul territorio, “con un aumento non trascurabile del rischio diffusione delle malattie oltre che dei danni biodiversità e all’agricoltura e degli incidenti stradali”. Per aumentare gli abbattimenti di femmine e giovani di entrambi i sessi, sostiene il ministero, “con la piena disponibilità da parte del mondo venatorio”. Le Aree protette dell’Appennino Piemontese evidenziano come dovrà essere eliminata anche la pratica del foraggiamento, “alle volte ancora utilizzata dalle squadre di caccia in braccata sebbene sia vietata dalla legge” per concentrare i cinghiali in un’area. Infine, “risulta indispensabile, inoltre, l’abbandono definitivo della pratica dell’immissione di cinghiali in ambiente non confinato che, sebbene vietata dalla legge, sembrerebbe ancora praticata in alcuni contesti