Cosola. Restaurato il cippo commemorativo che ricorda il rastrellamento nazifascista del 1944.

La cerimonia oggi, domenica 18 agosto.

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Nell’inverno del 1944 in Val Borbera e nelle valli limitrofe, i nazifascisti effettuarono un massiccio rastrellamento alla ricerca dei partigiani che sulle montagne dell’Appennino stavano organizzando la resistenza contro l’occupazione straniera.

Anche Cosola e il suo territorio subirono, nell’inverno del 1944, le conseguenze del terribile rastrellamento nazifascista, che sottopose il paese, i suoi abitanti indifesi e i partigiani a una serie di uccisioni, di soprusi, di saccheggi, di stupri operati dalle feroci truppe antiguerriglia della 64° divisione Turkestan (i cosiddetti “mongoli”).

Oggi, domenica 18 agosto, si è svolta a Cosola una cerimonia presso il cippo commemorativo, recentemente restaurato dal Comune di Cabella Ligure, arricchito da  un cartello descrittivo realizzato in collaborazione con l’Istituto Storico della Resistenza di Alessandria. Il cippo ricorda l’uccisione di due partigiani in fuga dalla “Beitana”, la baita situata a monte dell’abitato di Cosola (Cabella Ligure), avvenuta il 16 dicembre 1944.

Alla commemorazione erano presenti rappresentanze ANPI della Provincia di Alessandria, di Tortona, Varzi, Arquata e Val Borbera. Nella sua orazione, Ippolito Negro, ha ricordato i fatti e ricordato il contesto in cui si sono svolti

“Il 15 dicembre 1944 un gruppo di 16 partigiani, attivi nella Val Staffora e in spostamento per sfuggire alle azioni di rastrellamento dei “mongoli” appostati a Capannette di Pej, si rifugiò nei pressi dell’abitato di Cosola ospitati, per la notte, alla Beitana. Con loro c’era Silvio Ferrari, gravemente ferito in un’azione di combattimento. Le truppe tedesche giunsero in zona nel pomeriggio del 16 dicembre. La maggior parte del gruppo riuscì a fuggire prima del loro arrivo. Due partigiani, Silvio Ferrari di Tortona e Giovanni Azzaretti di Varzi, rispettivamente di 18 e 21 anni, vennero però sorpresi e uccisi. La Beitana, ancora oggi conosciuta come “Casa dei Partigiani”, venne incendiata. La rappresaglia tedesca proseguì in paese. Il sarto, Giovanni Burrone, che aveva fornito aiuto ai partigiani, venne subito fucilato; il giorno successivo, dopo altri ferimenti, Giovanni Negro, senza alcuna ragione, venne fermato e ucciso dalle truppe della Turkestan”.