Vigneti devastati, i produttori accusano (anche) il Parco Capanne.

Toni accesi nell'incontro di ieri a Gavi. I viticoltori esasperati, Baldi (Provincia) promette un tavolo tra agricoltori e cacciatori: “Faremo un “conclave”: non usciremo dall'incontro senza una soluzione”.

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C’è chi è costretto addirittura all’espianto di un vigna, chi fa la guardia di notte, c’è chi lamenta di aver raccolto solo il 20% di uve rispetto all’anno scorso e chi accusa, a torto, il Parco Capanne di essere all’origine del problema. La situazione per i viticoltori quest’anno è stata insostenibile a causa dei danni ingenti provocati da caprioli e cinghiali nei vigneti. Raccolti distrutti e tanta rabbia perché, nonostante da anni la questione si stata posta all’attenzione delle istituzioni, non si vede alcuna soluzione nell’immediato. L’esasperazione dei produttori del Gaviese e dell’Ovadese è stata al centro dell’incontro di ieri sera nella sede del Consorzio tutela del Gavi, a Gavi.

Un momento dell’incontro di Gavi sui danni della fauna selvatica nei vigneti

Un folto pubblico, con pochi sindaci (Tassarolo con Paolo Castellano, Silvano con Ivana Maggiolino e Mornese con Simone Repetto), le associazioni agricole e venatorie, rimaste, queste ultime, in silenzio durante l’acceso dibattito. “Nel 2017 – ha spiegato Davide Ferrarese, agrotecnico del consorzio – abbiamo avuto l’apice dei danni causati dalla fauna selvatica anche per via delle condizioni climatiche. Caprioli, cinghiali ma anche tassi, minilepri e volatili, dal primo giorno di germoglio, in primavera, fino alla vendemmia hanno causato danni diretti e indiretti, con un calo notevole nella produzione, anche alle piante stesse, comprese le barbatelle, ridotte a bonsai. Le soluzioni adottate dai viticoltori, dalla diffusione di repellenti alle reti elettriche, non sono bastate: ormai i caprioli sono stanziali nelle vigne, non scappano neppure quando sentono il trattore”. “Io – ha raccontato un viticoltore – ho avuto 2500 barbatelle rase al suolo, ho chiamato l’Atc per la conta dei danni ma non mi hanno riconosciuto nulla poiché il pagamento si può avere solo se c’è l’uva danneggiata. Gli ungulati vanno eliminati del tutto. Le squadre di cinghialisti ne uccidono pochi rispetto ai numeri che vediamo tutti i giorni e spesso gli danno pure da mangiare”.

Dino Bianchi, presidente delle Aree protette dell’Appennino Piemontese, ieri sera a Gavi

Per molti la responsabilità è del Parco Capanne, che fa parte delle Aree protette dell’Appennino Piemontese: “Quando ci sono le squadre in azione queste bestie scappano nel Parco, dove non si possono ammazzare”. Lo ha corretto, accendendo gli animi dei più arrabbiati, il presidente dell’ente, Dino Bianchi: “Il Parco in realtà è l’unico che applica un piano di abbattimento dei cinghiali, 500 in tre anni, in base a quanto autorizzato dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Piuttosto, la Regione dovrebbe adeguare il calendario venatorio a quello delle altre regioni, permettendo gli abbattimenti anche a gennaio. E’ necessario far sedere intorno a un tavolo tutti i soggetti interessati”. Altri hanno additato chi ha diffuso sul territorio queste specie a scopo venatorio, permettendone una proliferazione quasi illimitata. Il produttore Roberto Ghio di Bosio, uno dei promotori dell’incontro, ha ricordato di aver subito 40 mila euro di danni solo nel 2017 ma al massimo dala Regione possono arrivare 10 mila euro in tre anni.

Gianfranco Baldi, presidente della Provincia, ha promesso di convocare a breve un nuovo tavolo ad Alessandria sul problema: “Dovranno essere tutti presenti, a cominciare dagli agricoltori e dai cacciatori e non si uscirà da quell’incontro finché non sarà trovata una soluzione, come avviene per il conclave che elegge il papa. La Provincia ha appena presentato all’Ispra un piano di abbattimento di mille caprioli”. Anche il consigliere regionale di minoranza Massimo Berutti ha assicurato il suo appoggio: “Se non si risolve il problema con il confronto tanto vale organizzare dieci bus e andare a protestare a Torino. Serve equilibrio tra chi va a caccia e chi vive di agricoltura. Siamo all’emergenza e devono essere prese decisioni adeguate”.