Massi sulla barca

Da ragazzo ho amato i libri di Emilio Salgari, le avventure di Sandokan e delle tigri di Mompracem. Tra le sue opere forse meno conosciute ricordo “I misteri della giungla nera”, in cui vengono descritti sanguinari adoratori della dea Kali nella zona della foce del Gange, nota come Sunderban. A distanza di più di 20 anni dalla lettura di questo romanzo visito i posti che l’autore, pur descrivendoli con grande accuratezza, non ebbe mai l’occasione di vedere di persona.

Normalmente mi piace organizzare tutto da solo, ma viste le difficoltà logistiche decido di fare un’eccezione e di affidarmi ad un’agenzia di viaggi. Dopo aver fatto ricerche su internet, ne trovo una che fa per me e vado nell’ufficio di Kolkata per sapere i dettagli e versare un anticipo.

Venerdì 17 febbraio alle 7 comincia il viaggio: punto di incontro alla stazione di Sealdah, la guida mi trova subito e poco dopo parte il treno per Canning. Da lì proseguiamo in tuc-tuc (un’ape adattata al trasporto di persone) fino al punto di imbarco. Il gruppo è composto da una ventina di persone: genitori con figli e cinque giovani uomini tra i 25 e 30 anni, ancora non sposati (dettaglio fondamentale in India). Io sono l’unico straniero e, come sempre accade, attiro subito l’attenzione di tutti.

Saliamo sulla barca e veniamo accolti dal capitano e dai suoi tre ragazzi, che saranno allo stesso tempo marinai, cuochi e camerieri. A bordo viene servita la colazione, la prima di una serie infinita di pasti. Il tour è a “pensione completa” ma mai avrei creduto che potessero dare così tanto cibo: ogni giorno colazione, pranzo e cena, più almeno una merenda e un altro snack, più 2-3 té o caffé! Insomma, praticamente si mangia senza pausa, a orari tutt’altro che abituali per me: il pranzo alle 14.30 e la cena alle 22. Il riso, naturalmente, la fa da padrone, ma provo alcuni piatti locali (tra cui delle deliziose frittelle salate per colazione) e il cuoco si impegna molto per soddisfarre i miei gusti, visto che sono uno dei due vegetariani del gruppo (tutti gli altri mangiano pollo e pesce a tutto spiano!).

Il primo giorno visitiamo due paesini che si trovano in riva al fiume e osserviamo la faticosa vita dei pascatori, che cercano i granchi affondando nella melma fino alle ginocchia oppure pescano sulle loro piccole barche. Ci troviamo nella zona del delta del Gange, che in realtà si divide in due rami principali (più un’infinità di diramazioni): uno conclude la sua corsa in India, l’altro nel vicino Bangladesh. Navighiamo per ore lasciandoci lentamente la civiltà alle spalle e arrivando nel tardo pomeriggio all’ingresso della riserva naturale del Sunderban. Prima di cena uno spettacolo di danza folkloristica ci permette di conoscere alcuni “adivasi”, letteralmente gli “aborigeni” di questa zona. La maggior parte delle persone va a dormire in hotel, ma io e i miei cinque amici scapoli abbiamo scelto la variante più economica e avventurosa: dormire in barca insieme alla ciurma. Il materasso è abbastanza comodo ma uno dei compagni russa da paura, quindi sono contento quando vedo sorgere il sole alla fine di una notte difficile.
L’intera seconda giornata è dedicata alla visita della riserva e una guida sale a bordo per illustrarci le varie tappe: all’inizio un museo orientativo dedicato alla più grande foresta di mangrovie del mondo…e al suo abitante più famoso: la tigre bengalese! Attualmente ridotta a poche centinaia di esemplari, fa ancora vittime tra i pescatori e i cercatori di miele che si avventurano nella foresta. Per questo ci sono numerosi templi in cui si chiede protezione a due dee e a una grande tigre.
Poi saliamo nuovamente in barca e esploriamo rami del fiume sempre più piccoli, sperando di vedere la tigre…e accontentandoci di un coccodrillo e di qualche scimmia. A varie riprese sbarchiamo per salire su delle torri di osservazione e percorriamo un lungo ponte sopra una parte più rada di foresta, ma del felino non c’è traccia. Sapevamo che le possibilità di vedere la tigre erano molto basse, perché nella stagione secca rimane quasi sempre in zone distante dal fiume (la cui acqua è salata perché la Baia del Bengala è molto vicina).
Resto seduto a lungo sulla punta anteriore della barca e lascio scorrere i pensieri, mentre ammiro la resilienza delle mangrovie, capaci di adattarsi ad acqua salata, periodi di siccità e grandi alluvioni durante i monsoni. Spero fino all’ultimo di vedere la tigre, ma non sono deluso quando cala il sole perché so che da qualche parte, nel fitto della foresta, lei è lì, maestosa e regale. Mando un saluto a Emilio Salgari e lo ringrazio per avermi fatto volare con la fantasia da bambino. Adesso sono qui, nei “suoi” posti, e mi godo al massimo la magia del viaggio, respirando il momento!