Mercoledì 5 aprile a mezzogiorno lascio la mia comoda stanza in un albergo di Pokhara e comincio un viaggio che so bene sarà molto lungo. Circa 1000 km mi separano da Rishikesh e ho deciso di percorrerli tutti in bus, per non dover ripetere la stessa strada fatta per entrare in Nepal due settimana fa. Alle 13 parte l’autobus per Mahendranagar e salgo a bordo: ho un posto vicino al finestrino in seconda fila e passo le prime ore ad osservare il panorama. Usciti dalla città comincia una lunga serie di verdi vallate attraverso le quali scorre la strada, spesso alsfaltata (ma piena di buche) e a volte sterrata. Nel tardo pomeriggio siamo rallentati dai postumi di una frana che ha creato una lunga coda e da un forte temporale. Dopo 7 ore abbiamo percorso 130 km! Nella notte, per fortuna, il ritmo aumenta leggermente e alle 10 del mattino raggiungo la frontiera. La attraverso a bordo di una jeep condivisa, saluto il Nepal ed eccomi di nuovo in India. Procedo in bus per altre quattro ore ma nel pomeriggio decido di fermarmi perché non arriverei comunque in giornata e sono stanco morto. Una doccia, una buona cena e un comodo letto mi rimettono in forma.

Il giorno successivo, con due altri bus, raggiungo la meta finale: sono in giro da 52 ore ma ce l’ho fatta e sono felice quando faccio le prime foto a Rishikesh! Questo nome è diventato famoso in tutto il mondo dopo che i Beatles trascorsero due mesi in un ashram (centro spirituale) a pochi metri dalle rive del Gange.Il rapporto con il loro guru Maharishi si rivelò controverso e alla fine se ne andarono, ma da allora Rishikesh è una delle destinazioni più popolari per i “cercatori spirituali” occidentali, oltre che essere un importante centro di pellegrinaggio per gli Indiani.

Il ponte sospeso sul Gange sembra dividere due mondi: da un lato l’India caotica, rumorosa, piena di traffico e smog. Dall’altro l’India spirituale: ovunque ci sono ashram e pellegrini. Non si vendono alcolici né carne e tutti praticano qualche tipo di medtiazione, yoga, rituali, ecc. La “capitale mondiale dello yoga” come viene ormai definita è un polo di attrazione turistico fortissimo: non trovo una stanza in nessun ashram e mi devo accontentare di un normale albergo, peraltro avendo come vicini una simpatica coppia di Italiani, i primi che incontro da lungo tempo! Finalmente riesco a realizzare uno degli obiettivi del viaggio: fare il bagno nel Gange. Lo avevo già incontrato a Calcutta e a Varanasi, ma là, oltre che sacro, era talmente inquinato che non avevo osato. Qui, invece, sono a circa 200 km dalla sorgente ed è ancora pulito, anche se la forte corrente e la sabbia lo rendono torbido. L’acqua è gelata ma ne esco rinvigorito e il bagno nel Gange diventa un rituale quotidiano.

Ogni sera al tramonto centinaia di pellegrini si riuniscono sulle rive del Ganga (come viene chiamato dagli Indiani) per per il “ganga Aarati”, una cerimonia durante la quale si cantano inni sacri e donano al fiume fiori e candele. Uno spettacolo affascinante e ancora più gustoso sorseggiando un succo di canna da zucchero preparato sul momento con l’aggiunta di limone, menta, zenzero e un pizzico di sale. A proposito di cibo: l’albergo in cui mi trovo mette a disposizione una cucina e così a distanza di tre mesi preparo una pasta con sugo di pomodori e melanzane e quasi mi commuovo. Dopo tanto riso ci voleva proprio!

Nei giorni successivi continuo a girare per le stradine di Swarg Ashram e di Lakhsman Julha, i due quartieri più turistici. Il Gange mi affascina moltissimo e sembra invitarmi a lasciare Rishikesh, che si trova a soli 300 metri sul livello del mare, per avvicinarmi alla sua sorgente, a 3700 metri. Obbediente al fiume sacro saluto la città dei Beatles, degli hippies e dei sadhu (“santoni” indiani) per salire verso le montagne dell’Himalaya!