Il tribunale di Alessandria

Alcuni dei più noti imprenditori imputati nel processo Triangolo erano presenti ieri mattina, nel tribunale di Alessandria, all’udienza che ha segnato l’avvio effettivo del processo, a oltre un anno dalla prima udienza. Giorgio Franzosi, già condannato in via definitiva per corruzione, e Francesco Ruberto, interdetto dall’attività imprenditoriale per i suoi legami con la ‘ndrangheta, hanno assistito ai primi testimoni dell’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Arnaldi di Balme di Torino, titolare dell’indagine che nel 2015 portò ad arresti e denunce per il traffico illecito di rifiuti scoperto tra Lombardia, Liguria e Piemonte. Materiali contenenti sostanze inquinanti, secondo l’accusa, sono stati sotterrati nelle ex cave poi ritornate campi coltivati, in particolare del Tortonese, anziché nelle discariche. 19 gli imputati: oltre a Franzosi e Ruberto, erano presenti all’udienza anche Laura Zerbinati, di Druento (Torino), consulente del gruppo Ruberto; Francesco Paolo Caovilla, di Sarezzano, dipendente della Franzosi Cave; e Andrea Gandini, di Voghera, titolare con il padre Sandro, della Autotrasporti Gandini e della Eurosabbie. Fra gli altri nomi di spicco, Gino Mamone, genovese ma residente ad Avolasca, già titolare della Ecoge di Genova; Alberto Franzosi, titolari del gruppo tortonese omonimo; Valerio Bonanno, alla guida della Sap di Spinetta Marengo.

Il sito di strada Cabannoni a Tortona, gestito dalla Idrotecnica di Ruberto

Roberto Pagano, dipendente della Provincia per il servizio di gestione dei rifiuti, ha raccontato cosa ha scoperto con i colleghi e i tecnici dell’Arpa durante alcuni sopralluoghi effettuati dal 2010 in poi nella ex cava di Strada Cabannoni, a Tortona, e nell’impianto di recupero rifiuti di Castra, in strada per Sale, sempre nel territorio tortonese. “Cabannoni – ha spiegato rispondendo alle domande del pm e del giudice – era una ex cava che doveva essere riportata al piano campagna per tornare a essere coltivata a scopo agricolo. La Idrotecnica, società di Ruberto, era autorizzata a riportare terre e rocce da scavo con determinate caratteristiche. Sia chi produceva questi rifiuti sia chi li riceveva doveva svolgere verifiche sulla qualità dei materiali. Noi abbiamo scoperto che i materiali oggetto delle nostre analisi non erano conformi rispetto alle quantità di idrocarburi, quindi non potevano essere utilizzati per un’area che doveva tornare agricola”. Inoltre, ha spiegato Pagano, la Idrotecnica non presentava alla Provincia il report sulla qualità dei rifiuti in maniera regolare: invece che ogni 5 mila metri cubi ricevuti, il documento arrivava oltre 30 mila metri cubi e il tipo di analisi effettuato dall’azienda “era del tutto inutile a rilevare eventuali inquinanti”. Nel 2013 la Provincia ha disposto la revoca dell’autorizzazione per Cabannoni così come per Castra, dove era attivo, sempre per le aziende di Ruberto, un impianto di recupero rifiuti, precisamente materiali da demolizione e fresato di asfalto che, una volta trattati, poteva essere riutilizzati in edilizia. “L’area – ha spiegato ancora Pagano – non era pavimentata a dovere né c’era un sistema di recupero delle acque inquinate adeguato. Era impossibile fare analisi poiché i materiali era mischiati”. Il sito venne successivamente sistemato ma poi fermato con il blitz delle forze dell’ordine del giugno 2015. In totale, sono circa cento i testimoni chiamati a deporre da accusa e difese.